Può sembrare ozioso dire che il mondo si muove, che idee e costumi e abitudini mutano quasi a ogni generazione che, come gli interessi così il gusto segue il ritmo velocissimo degli umori mai fermi, per cui la gente muta e interessi e abitudini quasi seguendo una legge naturale. Così é stato da che il mondo é mondo e tuttavia si può dire che mai come negli ultimi trent'anni sono avvenuti tali e così profondi mutamenti, nel costume e nelle abitudini dell'umanità e dei padovani (che é ai nostri concittadini che desideriamo restringere il discorso).
La civiltà meccanica, della scienza applicata, ha portato il ritmo della nostra vita in soli trent'anni ad una intensità assolutamente sconosciuta a tutta l'umanità che ci aveva preceduto, e si tratta di millenni di vita e di storia prima tirati via con ben diverso ritmo.
Prato della Valle nel 1914
Ma la civiltà meccanica non spiega del tutto, da sola, un fenomeno che ha investito e mutato alle fondamenta, radicalmente, certe abitudini dei nostri concittadini. I vecchi padovani, quelli legati alla Padova del 1914 sarebbero un documento o argomento preziosissimo in questo discorso sul Prato della Valle, sul nostro Pra’, che é senz'altro una delle Piazze più celebri e singolari di tutta l'Italia. E del resto non occorre nemmeno essere vecchi per ricordare la Padova del 1919-25, che, grosso modo, aveva ancora la fisionomia e le abitudini del 1915.
Allora (nelle ore canoniche della vita della città) i padovani si svagavano e si incontravano in parte sul Corso, in parte ai caffè tradizionali e rappresentativi, e sono pochi i padovani che non abbiano conosciuto e «vissuto» il Caffè Mio in Piazza dei Signori, o dei Veneziani in Pra’, in quel Prato della Valle che era come uno dei due poli del «Corso» della strada o zona delle cosidette «passeggiate» soprattutto del tardo pomeriggio, «passeggiate» che costituivano gran parte della vita «sociale» dei padovani di quei tempi. Tutto questo é sparito senza lasciare, realmente nessuna traccia.
Due guerre «meccanizzate», e la nuova e velocissima civiltà meccanica e (aureo compimento di una opera inqualificabile) il lavoro degli «urbanisti» e architetti che hanno distrutto o sfigurato tutto il centro (il cuore) della città vecchia (il Pra’ compreso che ha avuto quasi completamente distrutto un lato e deturpati altri due punti «cardinali» come l'imboccatura della via del Santo e il tratto ora occupato dalla goffa e vuota loggia Amulea), spiegano almeno in parte l'attuale disinteresse dei padovani (e parliamo di quel ceto che dà il tono alla vita «mondana» della società cittadina), per gli angoli più belli e rappresentativi della nostra città, che fino al 1914 era considerata fra le città più «vive» e belle di tutta l'Italia, e non soltanto naturalmente, per la presenza dell'Università e del Pedrocchi.
Il Pra’, oggi
Attualmente, e cioè da molti anni, a che si é ridotta anche la vita del nostro meraviglioso Pra’, che anche gli stranieri conoscevano né più né meno come conoscono Piazza San Marco di Venezia o il Campo di Siena, o altre poche piazze assolutamente singolari per forma e bellezza come Piazza della Signoria a Firenze, Piazza Navona a Roma ecc.? Rimasto in piedi il caffè ai Veneziani (e il Giardinetto, che per altro é sempre stato un angolo più propriamente popolaresco) anche questo caffè ha perso il carattere e il tono che gli veniva dalla «società» che lo praticava, che lo faceva vivere, anche esso sembra essersi sperduto nel mezzo grigiore di una clientela, o vita, di mezza tacca, che nei mesi caldi lo tiene come desto nel tardo pomeriggio e nel dopocena. Anche questa poca cosa é già un fatto positivo, si dovrebbe dire, ma il nostro Pra’ é di una tale bellezza e così inesauribilmente ricco di angoli e monumenti che proprio non ci sembra adeguato al suo valore il poco di vita che gli viene dal piccolo mondo dei «Veneziani».
Ma é il caso di fare un po' di storia, della nostra bella e vastissima piazza, storia che dedichiamo a quanti fanno ancora del Pra’ quasi un vivo argomento di qualche ora della loro vita di tutti i giorni. Come la nostra città, anche il Pra’ può vantare una età e una storia più antica della stessa Roma, né mancavano sul suo conto antichissime leggende che ancora all'epoca dei comuni o degli inizi del rinascimento davano motivo ai nostri antenati di ricerche e dispute, seguite, si può dire, da tutto il mondo culturale dell'epoca. E quanto fosse profondo e vivo questo sentimento dei valori storici e spirituali della propria città, nei cittadini di un tempo ancora recente, basterà dire che al Prato della Valle nel 1808 un dotto corrispondente della Accademia di Scienze, Arti e Lettere del tempo, dedicava alla Municipalità di Padova un'illustrazione del Pra’ in un volume in ottavo e su carta poco meno che preziosa. Ed é da questa illustrazione dal sapore ancora arcaico di un secolo e mezzo fa che ricaveremo alcune notizie della vita immemorabile del nostro Pra’, vita che si confonde con i tempi leggendari della nascita del nostro paese alla storia.
Le origini
Addirittura Antenore sarebbe stato il primo personaggio leggendario che avrebbe posato l'occhio sensibile al bello sul vastissimo spiazzo che anche allora si trovava sulla destra della strada di chi arrivava dal mondo civile e attivo dell'epoca.
Antenore dunque (son passati oltre due millenni) avrebbe innalzato in Pra’ un tempio alla Dea Concordia. Poi, divenuta Padova provincia romana, il luogo si chiamò Campo Marzio, e, secoli più avanti, Valle dello Steccato entro cui si svolgevano finte battaglie; sino a chiamarsi, ai primi tempi in cui ebbe la forma attuale, Piazza delle Statue. Il nome Prato della Valle, o Valle, é antico e nato certamente quando attorno alla grande piazza furono elevate case di abitazione sul piano attuale della città (elevatosi di qualche metro almeno da quello che l'aveva preceduto). E spesse volte il Prato della Valle ci restituì testimonianze di epoche remote e di importanti fatti storici come le calate barbariche che passavano a rullo sulle città civili.
Perfino campo Santo si chiamò un tempo il Pra’, grazie al ritrovamento di vari corpi di Santi fra cui quelli di S. Giustina e S. Daniele, seppelliti per salvare i resti dalla calata delle distruggitrici orde barbariche nell'anno 900 dopo Cristo. E sembra sia stato cimitero anche in epoche più antiche, come fanno credere le urne e gli antichissimi sepolcri monumentali che furono portati alla luce.
Ma nelle epoche meno antiche il luogo fu dedicato a collettive gaiezze. Un Circo Castrense esisteva in Pra’ al tempo di Carlo Magno che ospitò un grande spettacolo di duelli e battaglie quando nel 775 d.C. l'imperatore del Sacro Romano Impero fu a Padova.
E anche lo svevo Federico II ebbe la sua festa personale in Pra’ arricchita, sembra da un discorso di Pier della Vigna...
Feste memorabili e sacre rappresentazioni
Si ricorda anche una festa memorabile che un Francesco Novello Colbarese diede in Pra’ per celebrare una sua vittoria sullo scaligero signore di Verona. In queste feste, venivano elevati «Castelli» al naturale, che sarebbero spariti nel giro vorticoso di una serata pirotecnica, e si svolgevano Corse di cavalli, o berberi, ronzini, ecc.
Ed ebbe il Pra’ un teatro famosissimo al tempo di Enrico III imperatore, teatro che la Regina Berta, moglie di Enrico III, aveva donato al Vescovo della città, Milone, e dove furono realizzate opere dei più famosi ingegni del tempo.
Anche rappresentazioni sacre ebbero per teatro l'antico Prato della Valle, e prediche che fecero epoca, come quella tenuta da S. Daniele nel 1221 che convertì certo Guercio, medico e miscredente del tempo, e forse non soltanto lui.
E una vita, una storia, che fanno pensare a qualcosa di prodigioso, ed é la nostra storia! Anche Fra' Giovanni degli Eremitani pare abbia messo mano al Pra’ al suo tempo, prima che esso assumesse l'attuale forma dovuta al genio del patrizio veneto, Cavaliere e Procuratore di S. Marco, Andrea Memmo, che nel 1775 fece costruire dentro il recinto della canaletta, dopo il doppio muretto scandito dai due cerchi di statue, un bello e ininterrotto cerchio di botteghe in stile palladiano dovuto all'architetto Cerato, botteghe che sparirono in seguito per ragioni di veduta; dopo che il Prato della Valle prese quella che sarà l'ultima e attuale forma, quella di piazza vera e propria del nostro Pra’, piazza che pare nata con tutti i segni propri ai luoghi destinati alle feste più grandi, tanto che anche e soprattutto nella attuale forma settecentesca il Pra’ continuò ad essere teatro di feste memorabili e sbalorditive. E le occasioni non mancarono mai, in una storia così densa di avvenimenti come la nostra: anche Pio VI e Pio VII ebbero in Pra’ la loro festa, e anche Napoleone prima di vendere all'Austria il dominio della Serenissima.
Gli amici del Pra’
Tanta storia, tanti avvenimenti e personaggi memorabili, a guardare il Pra’ degli ultimi anni sembra che non siano nemmeno esistiti. Sulle loro memorie, soltanto pochi pensionati, accattoni e bambini, durante i mesi caldi ravvivano oggi la grande piazza con la loro presenza fino alle più tarde ore della sera.
Ma ciò che vive e vivrà, del nostro Prato della Valle (come degli angoli più caratteristici della nostra città) é la sua bellezza, che s'appoggia a due note o elementi fondamentali: la stupenda isola dell'ovale dato dalla impeccabile «canaletta» ritmata dalla fuga conchiusa delle «statue» e la poderosa e superba chiesa di S. Giustina che sembra aprire e chiudere idealmente l'irregolare perimetro delle case e la fuga dei portici che nel rettilineo fra i due corsi ha come il giusto contrappunto alla forma circolare e perciò sempre come inafferrabile dell'isola posta al centro. Vive, la grande piazza, nella sua luminosità fresca, leggera e come impregnata di una interrotta musicalità senza fine; ed é indifferente, sembra, al traffico di uomini e macchine (tutto così piccolo e rapido) attorno l'ovale di verde intenso e frondoso.
Il Pra’, quello che vorremo chiamare l'autentico Pra’, lascia fare, lascia correre la vita moderna per il suo verso, e aspetta la sera l'ultima ora del giorno, l'ultima ora di sole ormai declinata al tramonto, l'ora che raccoglie gli amici del Pra’, la sua gente, che lo popola verso sera, e poi fino e oltre la mezzanotte, quando le ombre gli hanno messo addosso il suo più fantastico vestito: quando cioè le «Statue» che nella luce del giorno risultano troppo solenni nel diretto confronto della gente che siede e conversa lungo il doppio muretto ai loro stessi piedi, con l'aiuto della notte diventano personaggi autentici e con viva e sensibile presenza popolano lo spazio misurato dei grandi alberi.
Le statue
Lunga tradizione di piazza di mercati possiede ancora il Pra’ (ma dobbiamo alla bestialità degli uomini, più che alle bestie, se quasi tutto un lato di Prato della Valle é sparito per quella autentica, cioè formale, vaccheria che é il Foro Boario). E non é spettacolo da poco quello del sabato mattina, quando il Pra’ é come suggestionato dal mercato degli animali e da tutta la congerie di articoli che alla vita dei mercati di bestiame fanno capo. E memorabile per la città e per la grande piazza é il mese di giugno, quello del Santo, con tutto il Pra’ ravvivato da baracconi! e «numeri» ciarlataneschi senza fine, meta serale di giovani, di vecchi, di bambini, in gran ressa...
Di tutti i giorni e di tutte le ore é invece la presenza delle statue che, in numero di quasi ottanta, sembrano le benigne protettrici degli amici del Pra’. Bastava a un personaggio importante di avere studiato all'Università di Padova perché trovasse il mecenate che al giusto tempo gli offrisse in memoria la statua in quella che era considerata una delle più belle e singolari piazze conosciute.
Ma v'é anche una Statua dedicata al divino Antenore, il mitico e forse vero fondatore di Padova, che lo scultore, però, ha fermato in un passo che sembra piuttosto di danza divertita a dispetto della divisa da guerriero con lancia e scudo.... E c'è Trasea Peto, potente oratore e filosofo del tempo di Nerone, che da costui fu condannato a morte per la sua opposizione al tiranno.
E c'é Torquato Tasso, in un elegante quanto incantato gesto oratorio; e Pietro d'Abano grande matematico medico e filosofo concittadino, di cui il fanatismo religioso volle bruciare le ossa, e Lodovico Ariosto, immaginato nel gesto di un ipotetico Orlando intento a parlare agli astri, e Albertino Mussato, grande poeta oratore e storico padovano, e via via fra poeti, musicisti, grandi guerrieri, scienziati (Petrarca, Mantegna, Morosini, Galilei, Canova) fino a un Papafava di nome Albertino che aveva contribuito alla realizzazione dello stesso Pra’ attuale; e, naturalmente, papi e dogi, giusto il principio che l'arte ha da servire soprattutto i potenti. Ne mancano grandi figure straniere, come il grande capitano polacco Sobieski (m. nel 1626) e il grande re polacco Batory, vissuto nel XVI secolo, e che come tante altre celebrità straniere avevano studiato nella nostra famosissima Università.
Non tutte le statue attualmente sui piedestalli sono le prime poste, due mancano addirittura (due dogi); e più d'una sparì in occasione di quei cambiamenti di regime, cui s'accompagnano tanti mutamenti nei giudizi storici.
Ciò che non muta, diciamo, é la serena bellezza del nostro Pra’, ben degno che ad esso s'accostino i padovani in cerca appunto di bellezza e serenità.