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 Le tentazioni di S. Antonio
acrilico su tela, 1974 mm 1200x1000

Santo Antonio abate, detto anche sant’Antonio del maiale (o del purcel), sant’Antonio il Grande, sant’Antonio

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La grotta dove è vissuto Sant’Antonio

d’Egitto, sant’Antonio del Fuoco, sant’Antonio del Deserto, sant’Antonio l’Anacoreta (Qumans, 251 circa – deserto della Tebaide, 17 gennaio 357), è stato un eremita egiziano, considerato il fondatore del monachesimo cristiano e il primo degli abati.
A lui si deve la costituzione in forma permanente di famiglie di monaci che sotto la guida di un padre spirituale, abbà, si consacrarono al servizio di Dio. La sua vita è stata tramandata dal suo discepolo Atanasio di Alessandria. La popolarità della vita del santo – primo esempio degli ideali della vita monastica - spiega il posto centrale che la sua raffigurazione ha costantemente avuto nell’arte sacra. Una delle più antiche immagini pervenutaci, risalente all’VIII secolo, è contenuta in un frammento di affresco proveniente dal monastero di Baouit (Egitto), fondato da Sant’Apollo.
A causa della diffusissima venerazione, troviamo immagini del santo, solitamente raffigurato come un anziano monaco dalla lunga barba bianca, nei codici miniati, nei capitelli, nelle vetrate (come in quelle del coro della cattedrale di Chartres), nelle sculture lignee destinate agli altari e alle cappelle, negli affreschi, nelle tavole e nelle pale poste nei luoghi di culto. Con l’avvento della stampa la sua immagine comparve anche in molte incisioni che i devoti appendono nelle loro case così come nelle loro stalle.

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Hieronymus Bosch: Trittico delle tentazioni

Sant’Antonio è considerato anche il protettore degli animali domestici, tanto da essere solitamente raffigurato con accanto un maiale che reca al collo una campanella, il 17 gennaio tradizionalmente la Chiesa benedice gli animali e le stalle ponendoli sotto la protezione del santo.
Esiste, riferita a sant’Antonio, una sorta di giaculatoria scaramantica, un “sequeri”, abbastanza diffusa a livello popolare, nella quale si invoca il santo per ritrovare qualcosa che si è smarrito.
Ma l’abate Antonio, per la storia dell’arte, è soprattutto il santo delle tentazioni demoniache: sia che esse assumano – in accordo con la “Vita Antonii” scritta da Atanasio di Alessandria – l’aspetto dell’oro, come avviene nella tavola del Beato Angelico (circa 1436) posta nel Museo delle Belle Arti di Houston, oppure l’aspetto delle lusinghe muliebri come avviene nella tavola centrale del celebre Trittico delle tentazioni di Hieronymus Bosch al Museo nazionale dell’Arte antica di Lisbona, oppure ancora quello della lotta, contro inquietanti demoni, scena che fu popolarissima nel XVI e XVII secolo soprattutto nella pittura del Nord.
Vanno poi ricordate anche le molteplici Tentazioni dipinte dai fiamminghi David Teniers il Giovane e da Jan Brueghel il Vecchio, con la raffigurazione di paesaggi popolati da presenze demoniache che congiurano contro il santo, mentre sullo sfondo ardono misteriosi incendi (richiamo evidente al fuoco di Sant’Antonio); esse segnarono per molti anni un genere imitato da numerosi artisti minori.
Il tema delle Tentazioni di Sant’Antonio riletto con una diversa sensibilità, è ripreso anche da diversi pittori

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Paul Cézanne: Le tentazioni di Sant’Antonio

moderni. Ricordiamo innanzi tutto Paul Cézanne con la sua Tentazione (circa 1875) conservata nella Collezione “E. G. Bührle” (Svizzera); oppure la serie di tre litografie eseguite (1888) da Odilon Redon per illustrare il romanzo “La tentation de Saint-Antoine” di Gustave Flaubert.
Più recentemente ricordiamo le interpretazioni date a questo tema - con scoperta attenzione alla lezione

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 Max Ernst: Tentazioni di Sant’Antonio

psicoanalitica - da pittori quali Max Ernst e Salvador Dalí.
Franco Pivetti, privo di inibizioni o da timori reverenziali, sotto uno stimolo costante che lo spinge a creare, soprattutto conscio della necessità di proporre un tipo di pittura che, nata da sensazioni, produca sensazioni, affronta a suo modo e da par suo il tema delle Tentazioni di Santo Antonio,
Sfruttando l’incontro avvenuto ad un certo punto del suo cammino con la pratica dell’automatismo surrealista, la sua mano ha incominciato veramente a volare: non calca più le forme degli oggetti ma, animata dal proprio movimento e soltanto da esso, descrive figure involontarie nelle quali, come l’esperienza dimostra, sono chiamate a incorporarsi le forme del Santo e delle Tentazioni. Sfruttando quindi la scoperta fondamentale del surrealismo che, senza intenzioni preconcette, la penna scorre per scrivere e la matita scorre per disegnare filando una sostanza infinitamente preziosa, di cui non tutto forse è materia di scambio ma che sembra

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Franco Pivetti: Le tentate ricorrenze

almeno carica di quanto vi è di emotivo nel poeta o nel pittore.
Polarizzando l’attenzione di chi guarda su aspetti inconsueti e capricciosi, le composizioni di Franco Pivetti sfociano in una chiave idonea per una lettura scorrevole, ma al tempo stesso con un linguaggio capace di riportare a galla lo sguardo implacabile della curiosità quando si sofferma sui limiti ristretti che dividono gli stessi sentimenti contrastanti del bene e del male, dell’amore e dell’odio. Quando, cioè, i contorni dell’uno e dell’altro sbiadiscono al punto da risultare incerta la stessa differenziazione dei valori, e questo nonostante i contorni delle figure siano nettamente delineati dal segno a china, ed in un’epoca, come la nostra, in cui ormai (purtroppo) è difficile stupirsi.
L’immagine genera il sogno, da qui il segreto delle splendide curve che nell’opera di Pivetti proseguono come tracciate con una sola linea, anche delimitando più forme simboliche, seppure sempre più sensibile e sapiente, pur nella pochezza dell’utilizzo dei colori che sappiamo saper sapientemente usati in altre opere. Lo spirito di Pivetti in queste Tentazioni è dominato, lo so, dalla concezione, per eccellenza dialettica, di Ermete: “per arrivare al miracolo di una sola cosa, ciò che è in basso è come ciò che è in alto”, o, come dice Goethe, “ciò che è dentro è anche fuori”.
Abbiamo detto che l’immagine genera il sogno, che può essere considerato utopia. Infatti quando le immagini entrano nell’universo non conosciuto che è la mitologia fantastica del pensiero, la “cultura” diventa tabù.
Sicuramente tutti gli artisti che si sono confrontati con questo argomento hanno avuto in mente il resoconto delle battaglie di Sant’Antonio abate contro il demonio come vengono narrate dal vescovo Atanasio di Alessandria che scrisse, avendolo conosciuto in vita, una biografia del santo anacoreta: «Il posto sembrò esser sconquassato da un terremoto, ed i demoni, quasi abbattessero le quattro mura del ricovero sembravano penetrare attraverso esse, ed apparire in forma di bestie e di cose striscianti. Il posto si riempì improvvisamente di forme di leoni, orsi, leopardi, tori, serpenti, aspidi, scorpioni, ed ognuna di esse si muoveva in accordo alla sua natura».

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Mathis Gothart Grünewald:
Le tentazioni di Sant’Antonio

Le immagini allucinate del resoconto di Atanasio sembrano aver ispirato direttamente molti artisti fra i quali, ad esempio, la tavola di Grunewald, densa di caotico movimento e ricca di intense variazioni cromatiche, che vanno dai limpidi cieli e monti lontani, ai bagliori di un incendio nascosto dai ruderi di un rifugio ormai distrutto (richiamo iconograficamente obbligato, in tutta l’arte nordica, alla malattia del “fuoco di Sant’Antonio”), sino alle latebre dalle quali escono forme mostruose e demoniache. Ma – a differenza del racconto di Atanasio- esse non si “muovono in accordo alla loro natura”, perché nel quadro nessuna bestia è riconoscibile: esse sono il prodotto di una immaginazione teratologica che è negazione dell’ordine naturale e diventa prova della presenza demoniaca nell’uomo. Nel sabba aggrovigliato di demoni che va all’assalto del povero eremita, non si riesce neppure a distinguere a quale ripugnante essere dalla testa mostruosa appartengano le braccia deformi, le zampe e gli artigli che si protendono verso il santo.
Così è anche nei fogli di Franco Pivetti, dove non è possibile distinguere il bene dal male, e la figura di Antonio non è, probabilmente, sempre presente. Fra le tentazioni descritte da Pivetti manca l’oro, sono ben presenti e riconoscibili, ma non identificabili, i mostri, e le femmine da sempre simbolo di tentazione e perdizione per il mondo cattolico. Però queste femmine non sono giovani e belle, ma dai seni cadenti si indovinano vecchie e, per definizione, laide: dovrebbero essere fuori da ogni tentazione, ma evidentemente il maligno pensa che per Antonio, eremita, possano comunque andar bene.
Dai lavori appare comunque evidente che è in atto una lotta, dove il Santo combatte contro i mostri o fra i mostri stessi e richiama alla mente le immagini allucinate di Hieronymus Bosch; ma se queste –iconograficamente più piene - ci parlano di una lucida follia che ci invita a scoprire enigmi nascosti, e quelle di Grunewald sono mera potenza diabolica, i disegni di Pivetti ci parlano del sonno della ragione che genera mostri, con riferimento alla lastra di

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 Francisco Goya: El sueño de la razón

Francisco Goya  El sueño de la razón produce monstruos,  un’acquaforte e acquatinta del 1797 facente parte della serie di incisioni chiamata Los caprichos. Nell’incisione un groviglio di teste mostruose e corpi diabolici invadono uno spazio surreale e onirico, come per gli ectoplasmi di Pivetti, e nei suoi fogli questi simboli della tentazione, queste creature sembrano impadronirsi di tutto il foglio, in assenza di uno sfondo che fa prevedere solo macerie e devastazione: non c’è paesaggio, solo a volte alcuni aloni, spesso rossastri, che ricordano il paesaggio brullo del deserto.
Tenendo conto della potenziale logica che riconosciamo al progetto di Pivetti, il carattere antropomorfico che ha voluto dare al suo segno si presenta non solo inevitabile, ma necessario, dal momento che si riallaccia a quello di ogni linguaggio degli “inizi” o della “fine”. L’artista de-semantizza la sua invenzione grafica, la riduce quanto più possibile a “materiale” o “ingrediente” per fondare i suoi personaggi, o suoi mostri. È la creazione di un processo

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Franco Pivetti: Tentazione mattutina

ricognitivo all’interno di organismi in continua trasformazione, sempre uguali e sempre diversi tra loro, provvisti di una propria fisiologia, di meccanismi formativi endogeni. E non è indispensabile conoscere le circostanze attraverso le quali si sono formati all’origine dei tempi.

Siamo di fronte ad una cosmogonia segnica, là dove ogni elemento strutturale si organizza secondo un registro compositivo in grado di “scrivere” un pensiero, un concetto, una tesi, un’ipotesi, un messaggio. E tutto questo per procura dell’immagine, in sostituzione di essa.
Il bisogno di “visualizzare” un significato non è altro che l’esigenza del referente interno al segno linguistico, e dalla difficoltà che si incontra in questa “regressione” deriva la difficoltà di trattare cose che “non si vedono” né si possono trasporre in termini visivi, come la battaglia del Bene e del Male, non potendo individuare con sicurezza l’uno o l’altro.
Prendono corpo e dimensione appropriate, così, esiti di un’arte nata da esigenze legate ad un linguaggio pieno di connotazioni simboliche e fantastiche, di stravaganti coreografie del pensiero che captano onde da anonime antenne, mentre decifrano la grigia spelonca dell’animo
La fonte del mistero aleggia intorno alle composizioni di Pivetti