Padova, come Vicenza e Verona, nelle due guerre mondiali ha subito, soprattutto nella struttura e nella fisionomia del vecchio centro, rovine irreparabili, anche se tutt'ora rimane co­me una delle più originali e severe città del nostro paese, che pure non manca davvero di città di grande bellezza e singolare valore architettonico. E non tanto si vuole ricordare, qui, la imper­donabile e cannibalesca distruzione ae­rea alleata del Mantegna degli Eremitani, quanto la distruzione di quelle strade lontane da ogni obiettivo militare che dai bombardamenti alleati hanno sofferto tanto da uscirne totalmente e forse irreparabilmente sfigurate; co­me la bella riviera Paleocapa, che so­prattutto nell'ultimo tratto costituiva un autentico gioiello di strada fluviale settecentesca, in questa nostra Padova tutta svolta su forme e ritmi severi di città ferma e rude.

Ma Padova (in questo simile a Mi­lano e Firenze; ambedue ferocemente offese e distrutte dalla guerra dei vari alleati o camerati e spesso in modo ignominioso: basti pensare alla zona del Ponte Vecchio a cavallo dell'Arno distrutta casa per casa con le mine), Padova deve le sue distruzioni più do­lorose non tanto forse alle due guerre, quanto all'opera veramente inqualifi­cabile dei suoi stessi amministratori che, con criteri degni di "talpe con occhi da bisonte" hanno via via realizza­to quei tali piani regolatori che, in meno di un secolo, l'hanno privata di tan­ta parte della zona centrale che é come dire del cuore stesso, lasciandola, dall'altra parte, quanto mai inadatta al ritmo sempre più complesso e veloce della vita moderna.

Ne sono pochi "i rifacimenti" che, in meno di un mezzo secolo, Padova ha dovuto subire, a cominciare da quella specie di mastodontico "croccanto­ne" che é il Palazzo delle Debite (dovu­to al "genio" architettonico di Ca­millo Boito) che per nascere ha chiesto lo sfratto di tutto un blocco di case, tanto modeste quanto importanti nella loro autenticità cittadina. Così, ed é dal principio di questo secolo, é stato distrutto tutto il lato sinistro dell'arteria principale che dall'angolo del Gallo porta al Pra’, col confortante risultato che via Roma e corso Umberto restano tuttavia assolutamente insufficienti al traffico e alle sue esigenze attuali.

Milano, prima dell'eroismo tutto angloamericano che l'ha semidistrutta con un solo bombardamento, era già stata abbondantemente sfigurata e fal­sata dal piano regolatore che l'aveva ridotta a un informe e sconfinato ag­glomerato di palazzoni enormi, privi di stile e "fisionomia" degna di questo nome, svelando, del resto, il vero volto della classe dirigente italiana, inetta ad esprimere anche architettonicamente una personalità.

Eppure ancora dal principio di que­sto secolo era considerata, dalla parte più viva del mondo della cultura, una delle più originali, belle, e ospitali città italiane.

Così per Firenze: la feroce ottusità dei tedeschi ha certamente recato alla prodigiosa città toscana il danno che tutti sappiamo; tuttavia bisogna ricor­dare che é stato uno dei tanti pasti della falsa cultura indigena (falsa cultura quanto autentica e cosciente ribalderia speculativa) a privarla, con un piano regolatore di gran parte del cuore stes­so della città, fino alla piazzetta del Battistero.

Inutili furono allora le proteste pio­vute da tutto il mondo perché fosse im­pedita questa vana stortura; l'andazzo dei tempi era favorevole (come alla bella epoca del "duce" che permise lo scempio del quartiere di S. Croce) ai distruttori più deleteri che il nostro paese abbia mai avuto.

Così, ancora, per Padova, alle cui molteplici distruzioni "regolatrici" del vecchio centro bisogna aggiungere lo scempio compiuto ai danni della stu­penda piazza del Pra’, che nella secon­da metà del secolo scorso ha avuto distrutto o sfigurato tutto un lato (ora occupato dall'inverosimile e proprio "bovino" Foro boario), oltre che al bel palazzo settecentesco demolito per dare posto alla pacchiana e falsa loggia Amulea.

Chi ha visto anche poche stampe del sette e dell'ottocento della nostra città può facilmente farsi un'idea del danno irreparabile che Padova ha do­vuto subire dall'opera dei sui baldi Camilli Boiti di allora e di adesso, dei bal­di architetti che sembrano decisi a vivere, almeno da un secolo a questa parte, solo per la gioia di servire, e col massi­mo vantaggio proprio, i baldi "ammi­nistratori" della nostra città.

Altro che risanamento igienico e ur­banistico della città! Tutta la masto­dontica corona di montagne di matto­ni, che contorna piazza Insurezzione, é un documento impagabile (con la grande fabbrica della birra e relativo palazzone statuato e serio del birraio padrone) che indica da quali esigenze ­igenico-urbanistiche é nata e si é svi­luppata la lenta distruzione della no­stra città.

Non é da stupirsi, allora, se chi ar­riva a Padova da qualsiasi punto cardi­nale finisce per concludere una volta giunto al cuore della città, che la "pic­cola" Padova non è che poche "file" di portici, discreti di proporzioni quan­to cadenti di vecchiaia, che manca di un vero centro, capace di dargli, in po­chi tratti, un volto, una fisionomia, con i segni di un passato di storia e di cultura che la metta, come per il passa­to, alla pari delle città consorelle; a quelle singolari città "piccole" e venete che si chiamano Verona e, tanto più Vicenza.

Ancora una considerazione, infine, vogliamo qui aggiungere, che é come il movente o ragione primi e d'arrivo di tutte le note che saranno dedicate a questo argomento che investe tutte le città, e che é, anche, una risposta anti­cipata ai professionali rinnovatori di città a tutti i costi: il secolo scorso, per la borghesia laica e liberale, é stato an­che il secolo in cui ha avuto vita, con tante altre istituzioni culturali e forma­tive, anche il "museo"; ebbene questa stessa società mentre si preoccupava di conservare gelosamente nei musei i valori via via creati dalla storia degli uo­mini, ogni giorno di più infieriva con­tro la struttura e la fisionomia delle cit­tà che a questi impagabili valori, rac­colti nei musei, avevano dato vita.

Al criterio di "giungla" dello sfrut­tamento del terreno é tempo che i no­stri "costruttori di distruzioni" sosti­tuiscano concetti veramente nuovi, ve­ramente urbanistici e culturali, capaci non di distruggere ciò che per altro ver­so si mette nel museo vivo dei valori più preziosi, ma di costruire la parte nuova e attuale della città, dove c'é tanta terra libera; ai margini cioè delle città stesse. Via Roma e Corso Umber­to dovrebbero finalmente insegnare quanto ridicola e colpevole sia la pretesa di aggiornare razionalmente (distruggere cioè) una città antica e bella: la nostra Padova.