Viviamo in un mondo difficile, dove la velocità e la precisione sono elementi fondanti del nostro vivere quotidiano, basato sull’elettronica e le sue applicazioni, computer e web in primis, che permea ogni nostra attività e senza i quali avremmo notevoli difficoltà nella vita di tutti i giorni. L’uso del computer e gli ultimi sviluppi delle televisioni e dei nuovi telefonini smart, che in pratica permettono di creare i nostri palinsesti personali, consentono di poter visualizzare praticamente qualsiasi cosa: dalle immagini più banali della nostra quotidianità alla fotografia della nuvola elettronica di un atomo o alla struttura e al movimento delle galassie ai confini del mondo conosciuto. Ma oltre agli ovvi vantaggi questa nostra modernità tecnologica non è priva di rischi.
Uno dei risultati più pericolosi di questa situazione è che la nostra società è oggi sempre più basata sull’immagine: praticamente tutto può essere fotografato e quindi visto e diffuso in rete. Un tempo si leggeva e si immaginavano i luoghi descritti, si vedeva con gli occhi della mente. Si pensi all’India, sempre lussureggiante e misteriosa, dove si muoveva Sandokan con i fidi Yanez e Tremal-Nike e le Tigri della Malesia. Lady Marianna Guillonk, meglio nota come La Perla di Labuan, era la quintessenza della bellezza e della femminilità. Che magra figura hanno fatto, nonostante il loro impegno e la loro bravura, l’attore Kabir Bedi che impersonava Sandokan e l’attrice Carole André nella parte di Lady Marianna: erano solo l’ombra dei personaggi descritti da Emilio Salgari e immaginati dalla nostra fervida fantasia di avidi lettori adolescenziali.
Viviamo in un mondo sovrappopolato di notizie e di immagini che si susseguono a ritmi sempre più incalzanti, dove la lettura è in calo, assieme alla produzione di “buoni” libri. È in atto una lenta ma progressiva trasformazione del mondo reale in “immagine del reale”, trasformazione i cui confini diventano sempre più evanescenti e le cui conseguenze non sono facilmente prevedibili.
Tutto questo lentamente uccide la fantasia.
Eppure un altro mondo è possibile, come dimostrano le opere di Giovanni Soncini che ha ritrovato una nuova giovinezza liberandosi della rigorosa precisione imposta dalla scienza e dalla tecnologia, che erano il suo pane quotidiano di ingegnere e docente di microelettronica, per approdare alla libertà della fantasia, alla visione di mondi, forse anche di universi paralleli, come solo chi mantiene nel tempo la fantasia e le speranze della gioventù può fare. Anche Giovanni Soncini ovviamente usa le immagini, il suo lavoro nasce da immagini e vive di immagini, ma queste immagini non vanno semplicemente guardate con gli occhi: vanno viste con gli “occhi della mente”.
Soncini 08 La visione, in particolare di un'opera d'arte, è una questione di movimento, di ritmo. Nulla di più falso dell’idea che vedere significhi fermare lo sguardo in una sorta di contemplazione immobile, quasi che l’immagine dovesse essere bloccata, fermata, arrestata attraverso uno sguardo altrettanto fisso.

Solo attraverso una adeguata visione le opere di Giovanni Soncini prendono corpo e dimensioni appropriate, caratteristiche di un linguaggio pieno di connotazioni simboliche e fantastiche, di stravaganti coreografie del pensiero che non si soffermano a registrare le tragicommedie della quotidianità. Nelle sue opere utilizza facce senza volto, vedi Il dottore di Pinocchio (2010), che riporta alla memoria “Uno, nessuno e centomila” di Luigi Pirandello, o rivisita personaggi famosi come La Ragazza col turbante di Jan Vermeer alla quale in un d’après ha cambiato cappellino, oppure contemporanei come il conte Lev Nikolaevic Tolstoj che ci lascia uno scritto incompiuto ed un gatto, nero, che guarda un suo ritratto.
    Quella di Giovanni Soncini è spesso una pittura realista, ma collocata nella vaghezza della fantasia per cui manca una aderenza totale all’immagine, di cui vuole salvare l’emozione. In queste opere, come Naufragio alpino che richiama l’Arca sul monte Ararat oppure in Scacchi alpini e ancora di più in Melodie alpine e in Montagne, tutte opere del 2015, l’artista intende suggerire emozioni e sentimenti richiamando Soncini 14contemporaneamente ragione e inconscio, desiderio ed esistenza, sogno e oggetto. In queste opere sono inseriti elementi metaforici che arricchiscono il linguaggio surreale dell’artista, ammantandolo di mistero e di domande senza risposta. I soggetti di questi dipinti sembra abbiano il silenzio smarrito del tempo quando rimbalza sulla piattaforma di giorni in cui verità adombrate da secoli gocciolano nel fondo degli occhi.
Il filone surreale e l’arte fantastica hanno spinto Giovanni Soncini a realizzarsi nell’ampio spazio della sua libertà creativa e costruttiva entro i cui ambiti la stessa verità acquisita incontra fortissime spinte esterne. L’obiettivo di frantumare logiche tenaci, radicate anche in profondità, è stato, via via, raggiunto tramite il graduale sfaldamento della convinzione, ponendo in dubbio la credibilità di ciò che dipingeva. Alcune opere sono venate da un sentimento di tristezza, come Il tramonto del tempo ( 2008) dal soggetto un po’ scontato, e Presente e futuro - presente e passato (dittico del 2015) che ci introduce al concetto della relatività del tempo, ma forse soprattutto La doppia attesa (2008), dove il personaggio nel quadro del quadro guarda in entrambi i casi il nulla da una finestra senza infissi, che richiama alla mente il concetto di “insieme vuoto” ben descritto da Federico Ferrari: «L’insieme vuoto rinvia ad un concetto paradossale. Si tratta, infatti, di un insieme che non ha elementi ed è quindi composto di nulla, ma che, in quanto insieme è qualcosa». Non solo è un nulla che è qualcosa, ma è anche l’insieme a partire dal quale sono costruiti tutti gli insiemi finiti. L’insieme vuoto non è, quindi, un insieme come tutti gli altri o tra tutti gli altri, è un insieme unico, aperto e chiuso allo stesso tempo. A rigor di termini, non si può usare l’espressione “un insieme vuoto”, si può solo dire “l’insieme vuoto” »  (F. Ferrari: l’insieme vuoto, per una pragmatica dell’immagine. Johan & Levi Eeditore, 2013).
Dosso Dossi dipinge DeperoSulle sue tele certi pensieri dell’ignoto si sentono e si vivono anche se non è dato toccarli con le mani: come arrivare al cielo senza andargli Soncini 10vicino, raccogliere l’alito del vento senza trattenerlo o restare sotto la pioggia senza bagnarsi, ed ecco che l’impensabile diventa pensabile, l’impossibile diventa possibile: Giovanni di Niccolò Luteri, detto comunemente Dosso Dossi (1474 –1542) dipinge come Fortunato Depero (1892 –1960) nell’opera Dosso Dossi dipinge Depero (2014). Giovanni Soncini utilizza uno stile assai prossimo al trompe-l’oeil mettendo in scena una spazialità sempre assai arbitraria e fuorviante: non scene e situazioni, ma una sorta di allucinazione cristallina in cui si rappresenta il cortocircuito tra le cose e le parole, o le convenzioni, che le designano, oppure un’apparizione metafisica di sfuggenti e concettosi giochi speculari tra ciò che si vede e ciò che, usualmente, significava e a preso a significare diversamente in questa figurazione criptica e paradossale. Attratto da intime ambiguità e da veridici sottintesi abilmente suggeriti da uno stato d’animo ridotto alla compagnia esclusiva dell’immaginazione, capace di svelare il segreto del vero profanato attraverso tracce d’ansia scovate, appunto, nell’incertezza del reale: equivoche allegorie, come nella raffigurazione dell’opera Il mondo delle scimmie (dittico del 2014 ispirato al celeberrimo “ritratto dei Duchi di Urbino” di Piero della Francesca) o anche nella scenografia surreale di Im-probabili indizi (2010), e di E la barca tornò sola…., (2009).
La realtà non è mai quello che sembra e la verità non è mai una sola, come molti hanno insegnato, e cito solo Luigi Pirandello con l’opera teatrale “Così è (se vi pare)” e Akira Kurosawa con il film “Rashōmon”.