Nelle opere di Antonella Magliozzi il colore è elemento principale, vitalizzante, vivificatore; sia che si tratti delle sue qualità peculiari, o di certi nuovi e inattesi sviluppi nella sua dispersione sulla superficie.
Il colore viene trattato secondo la sua natura di materia-luce, di pigmento che solo dalla sua mescolanza con  la luminosità atmosferica acquista vita e vigore. Un colore estremamente vibrante, trasparente ma anche coprente, che non soggiace a limiti geometrici ma li supera e li annulla, un po’ come capita in alcuni degli ultimi rari dipinti acrilici di Rothko. Questo effetto dinamico fa si che una serie di elementi traspaiano pur mantenendo la loro individualità cromatica, ma con intensità e tonalità diverse, acquistando in questo modo caratteristiche fenomeniche che appartengono alla scuola psicologica della Gestalt, nella creazione di trasparenze, sovrapposizioni, metamorfosi cromatiche create da una diversa aggregazione della materia pittorica.
Il colore non è fermo sulla tela, pare dotato di vita e anima propri e nella sua forma informale l’effetto può essere variamente interpretato, arrivando anche ad esprimere delle forme di autogenerazione come fossero insiemi frattali  di Mandelbrot.
02Tutto questo produce nello spettatore stati d’animo molto diversi, a seconda della sua personale sensibilità ed esperienza, che vanno dalla sensazione di intima irrequietezza, instabilità e titubanza a stati euforici di forza e sicurezza.
Già nel 1912 Vasilij Kandinskij nel suo saggio Sulla spiritualità dell’arte poneva in rilievo gli effetti psicologici del colore puro, ad esempio come il rosso vivo può colpire come uno squillo di tromba, esponendo anche i primi tentativi in cui il linguaggio musicale è applicato ai colori come nel caso dell’opera Cosacchi del 1910-11, dando origine all’ “arte astratta”.
Magliozzi utilizza lo stesso principio, ampliandolo anche agli altri sensi come quando lascia un senso incandescente di fioritura delle immagini sopra l’ignoto e per il desiderio di esprimere l’inesprimibile, di dare forma plastica alle idee, di portare avanti una personale ricerca artistica che viaggia parallelamente a una profonda ricerca dell’Io, il tutto teso a creare nuovi margini di rappresentazione delle “dinamiche spirituali”, oltre i confini della materia. Di formulare una prima ipotesi circa le figure e la natura del mistero che ci angoscia e ci attrae, partendo forse dall’ipotesi più semplice, che le contiene tutte: le macchie di Rorschak, non più macchia chiusa dentro dei limiti ma in lenta, calda, continua espansione.
È questo che dà alle opere informali, gestuali, segniche, materiche l’aspetto ibrido e conturbante di materia organica, di reale e umano nello stesso tempo, di materia viva e parlante, prolungamento del corpo e dell’anima dell’autrice, e insieme dell’intero universo, come descritto da Toti Scialoia (“Sulla pittura informale”, Roma, luglio 1958, in Giornale di pittura, Editori Riuniti, Roma, 1991):
“Arte gestuale” nel linguaggio della critica d’arte indica, a partire dagli anni cinquanta del secolo scorso, tutto ciò che non nasce da un operare artistico premeditato, ma dall’automatismo della tensione fisica, che nasce da un movimento incontrollato e libero. Nel Manifesto tecnico della pittura futurista del 1910 si parlava del gesto come di “sensazione dinamica eternata come tale”, , ma sarà soprattutto l’arte informale a fornire al gesto un preciso valore come strumento creativo, come l’esatto opposto ella forma.
Si veda per esempio l’opera La forza (2009) della collezione Arcani Maggiori come esemplificazione: nell’informale gestuale il segno nasce da un impulso legato alla rapidità e alla non premeditazione el gesto pittorico, come evidenziato nell’opera citata. Uno dei maestri di riferimento di Antonella  Magliozzi è, e non potrebbe essere  altrimenti, Jackson Pollock massima espressione dell’action painting nella sua tecnica del dripping, in cui il colore viene fatto gocciolare dall’alto, senza procedere ad alcun intervento manuale diretto sulla superficie pittorica, creando in questo modo un diverso rapporto con la tela. In ogni caso la tela, il quadro acquista senso solo, o prevalentemente, in quanto risultato di una azione. L’Azione dell’Artista è la cosa più importante, mentre il prodotto dell’azione, l’opera, passa in secondo piano.
Quanto scritto vuole solo essere un contributo non esaustivo, che non voleva e non avrebbe potuto essere tale, del lavoro di Antonella Magliozzi.
È solo la mia personale lettura ed interpretazione di quanto pubblicato in questo volume, e non vuole influenzare nessuno con quanto detto.
La bellezza dell’arte in generale, e più in particolare proprio delle opere di Magliozzi, consiste nel fatto che ognuno è libero di vedere ed interpretare quanto vede a modo suo, in base alla sua sensibilità ed esperienza sempre in evoluzione, e non deve per questo farsi influenzare dalle visioni altrui, che comunque possono essere prese in considerazione.
Si può solo dire che quanto visto porta a vedere un futuro quanto mai interessante per gli sviluppi della personalità di un’artista completa e complessa, che però si muove in una landa piena di cespugli, qualche alberello e pochi veri alberi che si scorgono da lontano.

Ma attenzione perché questa terra è piena di lupi.