oltre il buiooltre il buioIn questi disegni, messi a disposizione per essere pubblicati e messi in mostra da Antonino Milicia, ho riconosciuto l’atmosfera dei tempi dello studio di Levi, l’eco delle sue conversazioni, che trasformavano il significato comune delle parole nel senso di un più ampio discorso sulla vita, nel quale l’ironia andava di pari passo con la saggezza. Come la figurazione fantastica che in questi fogli disegnati con mano sicura descrive forme e persone senza ritagliarle in sagome separate, ma facendole confluire in un flusso continuo nel quale il segno colorato fa balenare situazioni paradossali e poetiche insieme.
Questi disegni furono eseguiti da Levi su quello strano strumento che fu il “Quaderno a Cancelli”, un telaio di legno con corde tese tra i lati più lunghi per guidare la mano, che diede vita al libro che porta questo nome, pubblicato da Einaudi dopo la sua morte.
In essi si può facilmente riconoscere l’estro pittorico caratteristico di questo artista, capace di usare il disegno come una materia duttile, generata spontaneamente dal ritmo del gesto, che deve la sua vitalità proprio al non essere affidata al controllo specifico della vista, ma alla sintonia con un sentimento interiore. Che è capacità di creazione fantastica non affidata soltanto alla capacità di elaborare immagini mentali, ma a quella di “sentire” con tutto il corpo la forma.
Il movimentarsi delle linee in percorsi sovrapposti e tortuosi, che non descrivono mai contorni, ricorda certo il “barocchismo” concitato di molta precedente pittura dell’età matura di Carlo Levi. Quella con la quale egli ha trasformato in icone i personaggi più importanti incontrati nella sua vita e narrati nei suoi romanzi, plasmando nelle pennellate materiche le figure che occupavano lo spazio dei suoi sentimenti, con un impasto pittorico ribollente di passione.
E se il carattere più visionario di questi disegni può in parte essere spiegato con la loro esecuzione, realizzati, quasi completamente, senza l’uso della vista, è altresì evidente come essi rappresentino l’aprirsi di una visione oltre il buio. Nella quale Levi ha potuto sperimentare la forma pittorica in modo più libero e svincolato da limiti figurativi precisi.
Credo quindi che l’esperienza fatta da Carlo Levi nel Quaderno a cancelli sia non solo la testimonianza di un’eccezionale capacità creativa, ma rappresenti una eredità preziosa con la quale egli ci dimostra che ogni tempo dell’uomo può essere usato per dare significato al suo essere nel mondo. Anche quello della malattia, che l’artista impara non solo ad accettare, ma a riconoscere come un tempo speciale e privilegiato. Scrive, infatti, Levi, nel Quaderno a cancelli che “La storia del mondo è iscritta nella malattia, assai meglio e più chiaramente e profondamente incisa che nella storia delle idee e delle istituzioni...”, e lo è in modo più profondo, perché radicata nell’essere fisico del corpo e nella sua capacità di sentire con la percezione  inequivocabile  “…dei tessuti, della carne e del sangue …”.
Ma, se la malattia viene in questo modo intesa come partecipazione fisica alla vita del mondo, tutta l’arte moderna è riletta da Levi come un particolare caso di questa malattia. Quello nel quale essa si è distaccata dalla percezione diretta della realtà, come la retina dall’occhio, facendo così entrare la pittura in una metaforica distorsione del reale, che va da Picasso al Surrealismo. Nella quale,  l’offuscarsi della chiarezza percettiva causata dal male di vivere,  non ha evidentemente mai impedito agli artisti di elaborare, nella reinvenzione creativa, il loro sofferto contatto con il mondo.
Voglio terminare questo ricordo su Carlo Levi, ricordando l’immagine che di lui ci lascia Linuccia Saba, la figlia del grande poeta italiano che gli è stata compagna nella vita e nei dolorosi giorni della cecità, trascorsi da Levi in una clinica romana. Chiudendo la prefazione scritta al Quaderno a Cancelli, Linuccia evoca, infatti, la figura di questo artista  come quella di un uomo nel quale durante l’esilio della malattia “ Non c’era tristezza (forse angoscia), ma c’era forza e poesia, e tutto il suo mondo forte e poetico vibrava intorno a lui così che ogni persona, ogni oggetto splendeva di infiniti significati perché questo è il potere sovrano della poesia”.
I disegni pubblicati in questa raccolta emanano ancor oggi, identica, una medesima poesia, ed è la stessa che avvolge i ricordi di  chiunque abbia conosciuto Carlo Levi. La poesia della quale nel nostro tempo abbiamo tutti più che mai bisogno. Quella che, infine, cercherò di far conoscere, parlando dell’autore del Cristo si è fermato a Eboli, ai ragazzi che sono oggi i miei allievi, divenendo, in questo modo, mio malgrado, un loro maestro.