Non conosco artista del passato come del presente in cui manchino documenti o tracce di una partecipazione al pratico quotidiano, senza cui vi sarebbe il rischio di una disumanità come di un ozio nella bellezza insignificante; ma l’equivoco è da evitare specie in un tempo come il nostro occupato per tanta parte da una visualizzazione della propaganda, cioè da una falsificazione o mutilazione – sino al fumetto politico ed a quello erotico – che hanno luogo per l’assimilazione del segno a un artificio disindividuato in cui possa riconoscersi e trasferirsi, senza problemi suscitati da un’interposta persona agente in singoli ed esigenti termini visivi, una convenzionalità impersonale di massa
(Cagli artista copernicano di Carlo L. Ragghianti, in L’opera di Corrado Cagli 15 gennaio – febbraio 1972 Firenze / Palazzo Strozzi / A CURA DELL’UNIVERSITÀ INTERNAZIONALE DELL’ARTE E DE “LA STROZZINA”; pag. 23)
17La ricerca dell’Uomo e del suo Habitat è l’identità di Silvio Natali, laureato in medicina e artista autodidatta, pittore della nuova generazione. Nella sua opera, prima medico e poi pittore, colpisce innanzi tutto la lontananza fra gli studi fatti, che si suppongono rigorosi e metodici, e le sue opere pittoriche dove principalmente si nota l’elevata partecipazione al presente, come un riprendersi tempo passato, un realizzarsi della vita quotidiana.
Questo non vuol dire che queste anàbasi di Natali contino solo per i contenuti pur tanto fascinosamente proiettati nella riscoperta in sé di terre note e fulgenti, di potenze aurorali di incomparabile intensità e d’illimitata apertura, come paiono essere quelle nella natia Corridonia e delle sue marchigiane colline dalle estive assonanze cromatiche dorate, che si estrinsecano sia in opere quasi monocrome come Nuvole da est (2007) sia in opere più vivaci come Di pomeriggio (2015), al punto da sembrare una tavolozza.
Non stupisce che un “tecnico” abbia mentalità e capacità artistiche, anzi pare che a volte proprio il rigore degli studi porti ad aperture mentali non altrimenti raggiungibili, ed alla necessità di esprimersi con altri mezzi, diversi da quelli usati nell’attività professionale.
Senza scomodare Leonardo da Vinci, principale esponente di questa eclettica categoria, pensiamo a Carlo Emilio Gadda, prima ingegnere e poi scrittore; a Carlo Levi, medico scrittore e pittore; Primo Levi, chimico e scrittore; Mario Tobino, medico e scrittore; Ludovico Geymonat, matematico e filosofo; Tiziano Baldi, quasi matematico inventore e pittore. Pare proprio che i “tecnici” riescano ad essere “umanisti”, e forse proprio la loro preparazione porta a visioni più profonde.
Non sono a conoscenza di “umanisti” che in un secondo momento siano divenuti “tecnici” esperti, in grado di apprezzare la bellezza, ad esempio di un Hamiltoniano o di una funzione d’onda.
Non è dato sapere come Natali sia giunto alla pittura, si sa di una sua giovanile passione per il disegno, e le sue prime opere paiono 12essere proprio disegni realizzati prevalentemente in corsia durante le lunghe notti di guardia, disegni dal linguaggio espressionista che hanno gettato solide basi al futuro pittore, caratterizzati da una proiezione intelligente degli stati d’animo soggetti/oggetti nel mondo del lavoro. Silvio Natali ha vissuto il lavoro, medico o pittore, come soddisfazione personale, quindi creazione di uno spazio ed uno spirito d’innata poetica di riflessioni che probabilmente tendeva a capire il multiaspetto di momenti operativi. Voci della coscienza che cicatrizzano le inquietudini delle situazioni sulle anatomie dei corpi e dei visi che assumono tensione di reale.
Una ricerca animata, preservata con fermezza nell’indagine creatrice di un proprio modello artistico e culturale. Benché autodidatta, avendo comunque tutti noi dei riferimenti e dei Maestri, ecco che Campigli, Carrà, Sironi, possono forse essere stati una indicazione storica di scrittura e solo come generico riferimento, perché la pittura di Natali definisce una sua personale faccenda umana di creazione artistica.
Ed è nella sfera del realismo più contemporaneo che il pittore scava la sua migliore efficacia di sensibile poeta dell’umano. Una straordinaria forza psicologica balza dal tratto sagomato della forma del disegno che sollecita la dinamica espressiva della condizione oggettiva.
Natali si inserisce in un solco fondo e dritto, scavato da molti artisti moderni, leggo nei suoi lavori delle citazioni di Cagli, ma anche Morandi e Klee e il cubano Wilfred Lam, anche se Natali nega di averli conosciti artisticamente.
Non discutibile, anzi luminosamente reale e precisa la consapevolezza di Natali d’essere sulla via da lui chiamata giustamente moderna, e che esprime uno dei problemi fondamentali che caratterizzano il nostro tempo: l’identità, pirandelliniamente sviscerata.
Nello stesso fare le sue scelte personali, Natali non ha mai dato segno di confondere o di sovrapporre o d’ibridare o di deformare, sì invece di rendersi conto delle differenze, delle ragioni proprie d’ogni individuazione, anche se non assunta e accantonata.
Data la sua solida preparazione nel disegno è evidente come in tutte le sue opere il “segno” sia alla base del suo lavoro, si veda ad esempio No Way Out (2010) o anche Forse c’era una città ma era solo un dettaglio (2008) o Ordinato guazzabuglio (2016) o Gente di notte (2004). Tutte opere, come afferma l’autore, realizzate senza l’ausilio di un disegno preparatorio, realizzate di getto perché “la tela parla” (Silvio Natali).
Natali non ha affrontato le esperienze di linguaggio figurativo secondo schemi o miti pregiudiziali.
Due i filoni principali nel lavoro di Natali: le figure umane e il paesaggio.
05Nella figura umana colpisce soprattutto l’assenza del volto: tranne che in pochi casi le figure di Silvio Natali non hanno lineamenti, sono prevalentemente sagome, contorni, fantasmi, ectoplasmi. Viene da chiedersi da dove proviene questa mancanza di identità, questo fondo di pessimismo da un uomo che si autodefinisce invece un ottimista.
La presenza massiccia, ma non generale, della mancanza di identità fa venire alla mente l’affermazione di Luis Sepúlveda. “Il volto umano non mente mai: è l’unica cartina che segna tutti i territori in cui abbiamo vissuto”. Ma allora la mancanza dei lineamenti, della possibilità di individuare una persona nella folla, è il tentativo di salvarsi, di perdersi in uno dei numerosi Social imperanti.
Forse una motivazione può essere ricercata nella fisiognomica, cioè nell’arte di determinare il carattere di una persona esaminando le somiglianze e le differenze fra il suo volto e il nostro, che naturalmente rappresenta il modello di ogni eccellenza. Quindi il non cercare un confronto, una sorta di autodifesa.
Non è facile entrare nella descrizione della storia dell’Uomo senza Volto in poche righe, anche perché l’Uomo senza Volto è un personaggio mistico, che rappresenta tutti e nessuno, un nuovo profeta che racconta le proprie esperienze di vita e le mette a disposizione del lettore attraverso delle rime molto semplici, non si tratta di vera e propria poesia ma di pensieri rimati scritti in modo diretto e con linguaggio giovanile, accessibile a tutti, con l’obiettivo primario di far provare piccoli brividi di emozione, far annuire e capire che comunque, in questa vita, non si è mai soli.
Forse è questo l’ottimismo di Natali?
Sognare persone senza volto pare essere una delle situazioni oniriche più comuni: un personaggio con cui si interagisce che spaventa o che sostiene, ma che è impossibile riconoscere, i tratti del viso sono sfumati, appiattiti, bocca, occhi, naso, inesistenti, ed in alcuni casi al posto del volto c’è solo un buco nero.
Sognare persone senza volto pare essere uno stratagemma dell’inconscio per proteggerci da un evento drammatico in cui siano coinvolte persone che conosciamo bene: la censura onirica agisce creando una sorta di copertura ed oscurando il volto di queste persone che sono state protagoniste di un evento traumatico per il sognatore. Molto meglio rimuovere le fattezze conosciute, che affrontare il dolore e l’angoscia di riconoscere e doversi confrontare con una persona molto vicina che ci ha fatto del male. È possibile che questa scelta sia legata al lavoro in ospedale, alla quotidiana frequentazione con il dolore non più di persone ma di pazienti, perché la struttura ospedaliera spersonalizza il malato.
Chiaramente le persone senza volto rappresentano qualche elemento della nostra realtà che ci sfugge e che sarebbe bene invece conoscere: aspetti che forse stanno emergendo e con cui dobbiamo ancora familiarizzare, parti di noi che fanno capolino giustificate dalla nostra crescita, i nostri cambiamenti, nuova maturità. Possono essere anche aspetti appartenenti all’ombra, aspetti rinnegati in fase di integrazione che tentano il loro ingresso nel nostro sistema operativo. Saranno gli eventi onirici e le emozioni provate a indirizzare l’analisi.
Attraverso l’Uomo senza Volto è possibile collegarsi a reali rapporti interpersonali ed a persone esistenti, sarà interessante allora riflettere sul volto che non riusciamo a vedere, sulla fuggevolezza dei tratti e domandarsi se anche nella realtà la stessa persona è sfuggevole, se il rapporto con lei ci lascia una sensazione di inquietudine, se sentiamo qualcosa che non ci è chiaro. Se sentiamo “lontananza” da questa persona, se gli eventi ci stanno portando in altre direzioni e ci stiamo allontanando da lei, se ci sta sfuggendo. È possibile che l’inconscio ci stia offrendo una indicazione su quella persona o su quello che avverrà, segnali percepiti a livello profondo e non raccolti dalla coscienza, segnali che mostrano che noi questa persona “non la vediamo” per quella che è, oppure che “non la vediamo più”.
Nella folla nessuno ha un volto, mentre la persona singola ha un volto come Gloria e il suo piccolo amico (2001)10
“Parto sempre da alcune macchie ideali, cioè da una struttura di valori, di zone. Macchie di colore, s’intende … io un quadro non l’ho mai disegnato prima, l’ho sempre fatto col colore.” (Silvio Natali)
La scoperta dell’uso dell’acrilico è stata veicolo per entrare nell’intimità del colore del paesaggio.
“Per la mia tecnica gli acrilici comportano un vantaggio immenso. Sono limpidi, folgoranti, asciugano rapidamente, è una materia che mi consente di fare cose che prima con l’olio non mi era possibile fare. Non si alterano con il passare del tempo. Sono colori primari” (Silvio Natali)
Se andiamo dunque a cercare forme, macchie che giustifichino questa ricchezza figurativa delle immagini (ma soprattutto la loro totale fusione in una sorta di magma naturale/ panico / esistenziale primario, ne troveremo comunque in ogni dipinto paesaggistico, perché ben lucida è in Natali la convinzione della sostanziale unità del mondo, terra e universo, vita e sensi, e per l’appunto istinto e ragione.
E queste “macchie ideali”, “di colore”, sono anche alla base dei paesaggi di Silvio Natali, e quello che lo distingue subito, in un paesaggio come Di pomeriggio (2015) è proprio la vibrante, fantasmica magia degli elementi ambientali, quelle nubi azzurrine che paiono fumi propiziatori spinti dal vento, quelle colture mediterranee geometricamente disposte. E passando poi a Riannuvolamento (2016) ed a Nuvole da est (2017) la stessa natura dei luoghi, la loro colorazione calda del tutto mediterranea, trovano ancora una 11volta nella fantasia di Natali nuove accensioni dell’intimo degli arancio marroni del terreno che si riflette anche nei colori del cielo. Ed Il mare era proprio così (2007) era veramente tale, o risentiva del racconto di Sciascia?
Che poi se volessimo leggere “alla leonardesca” certe sue panoramiche collinari, forse rimirate “alla leopardiana” dalla collina di Corridonia su cui sorge il convento degli Zoccolanti, anche senza lo sfondo dei monti Sibillini, vi ravviseremmo di fatto, come capita giocando con le nuvole che corrono nel cielo, profili di volti, forme accoccolate sui crinali dei colli che diventano di fatto non solo panorami delle Marche ma, tout-court, del mondo stesso.
Restando il pittore ben fedele alla tonalità del luogo, alle minuzie paesistiche che s’accoppiano alle dominanti paniche interne al paesaggio, la malia così variabile e così costante del cromatismo marchigiano (controllare la regione) prende del tutto Natali.
Mantengono, questi dipinti straordinari una solarità ordinata e solenne, il groviglio dei colori e la follia delle passioni che esprimono apparendo ancora campiti entro registri cantabili (Natali ama la musica che lo accompagna per tutto il tempo impegnato a dipingere) quanto si vuole ma anche ben ordinati nei propri spazi.
La pittura di Silvio Natali non si deve leggere attraverso il limite di cronologie e di tappe, dal momento che, pur comprendendole, con frequenza è ritornato alla propria tematica nel corso degli anni, sfumando o dando versioni nuove.
Opera la sua tesa ad un racconto primario, essenziale, all’emozione nitida, chiara, armoniosa e armonica dove, nell’apparente semplificazione dei piani, s’insinua un sentore forte di essenza, di materia primaria dalle finalità tutt’altro che decorative.
Opera la sua di un pittore ringiovanito e sereno, capace di immergersi nel suo mare anima e corpo e di trarne succhi che, anziché affondare nel tema d’un soggetto, quel soggetto proiettano nel tempo storico e in quello a venire, emozioni, profumi, aromi umani e poetici, tempi ritmici scanditi in egual misura da dorsi di colline, criniere d’alberi, mari movimentati.