Delle Anguane …

Non si può parlare di Paolo Alfonsi e della sua opera senza parlare delle sue Anguane.
06È lo stesso Alfonsi che in un suo scritto “Perché le Anguane” racconta come ne abbia fatto il suo soggetto preferito. Scrive Alfonsi: “Le ho scoperte leggendo le favole di Felice Wolff, durante uno dei tanti soggiorni montani nell’alto Agordino nei cui boschi e tra i cui monti ho intravvisto i luoghi ideali per queste figure che mi avevano incuriosito. Così ho cercato qualche ulteriore notizia consultando vari Autori che si sono interessati alla cosa (dal Cortelazzo a Canestrini a Daniela Perco a Moidi Pareggher ed Ulrika Kindl), e ho concluso che le Anguane delle leggende sono, per me, giovani, belle, a volte scontrose, dedite alla famiglia, al lavoro, alla casa e alla cura amorevole dei bambini”.
L’antico termine anguana lo si può trovare nel De Ierusalem celesti, opera scritta da Frate Jakomin da Verona (Giacomino da Verona) nel XIII secolo. Le anguane sono presenti nella celebre, e antichissima, Saga dei Fanes, racconto mitologico delle Dolomiti, conosciuto soprattutto nella versione scritta da Karl Felix Wolff nel 1932, e che ha colpito la fantasia di Paolo Alfonsi.
Leggende che riguardano le anguane sono particolarmente diffuse nel bellunese e nel Friuli, dove le troviamo nella mitologia di tutti i paesi posti lungo i fiumi
Storie sulle anguane si ricordano soprattutto nelle regioni pedemontane e montane, ma sono creature fatate anche di altre zone, per esempio nella Laguna di Grado e di Marano. Le anguane presentano caratteristiche e nature diverse a seconda delle varie leggende e delle località.
Generalmente le anguane sono rappresentate come spiriti della natura affini alle ninfe del mondo romano (probabile modello originario del mito), i cui caratteri molto spesso si fondono però con quelli delle ondine e altre figure della mitologia germanica e slava. Secondo altre tradizioni erano donne dei boschi, dedite ad un culto pagano (fondendone evidentemente il mito con la realtà delle religioni sciamaniste ancora vive in Friuli e in Carnia almeno sino al XVII secolo), ma erano perlopiù considerate figure non umane appartenenti al mondo degli spiriti.
Vengono descritte frequentemente come giovani donne, spesso molto attraenti e in grado di sedurre gli uomini; altre volte però appaiono invece come esseri per metà ragazze e per metà rettile o pesce, in grado di lanciare forti grida. In altre storie sono delle anziane magre e spettrali, o figure notturne che si dileguano sempre prima che chi le incontra sia in grado di vederne il volto. Vestite, nelle leggende friulane, quasi sempre di bianco, altre tradizioni affermano che amassero, invece, i colori brillanti e accesi, come il rosso e l’arancione (in rari casi appaiono con stracci logori di colore nero).
L’altro elemento comune su cui tutte le leggende concordano è che le anguane vivono presso fonti e ruscelli e sono protettrici delle acque, e non deve essere un caso se nel bellunese il nome dei fiumi, e delle cose importanti, è femminile: la Piave, la Rimonta, la Frada …
Si dice anche che spesso asserviscano coloro che si attardano fuori casa la sera (soprattutto giovani ragazze), costringendoli a riempire vanamente cesti di vimini (incapaci di trattenere 10l’acqua) per tutta la vita. Altri racconti popolari, invece, raccontano vicende di anguane male intenzionate ingannate dall’astuto protagonista che chiede loro di riempire un cesto di vimini, trattenendole così fino al sorgere del sole (in diversi luoghi del Friuli vigeva l’usanza di lasciare davanti all’ingresso un cesto di vimini, che l’anguana avrebbe invano cercato di riempire per tutta la notte, lasciando in pace gli abitanti della casa).
Fin qui alcune delle leggende sulle anguane, ma è vero che sono solo leggende, quello che Alfonsi rappresenta sulle sue tele? Ecco cosa scrive ancora nel testo prima ricordato: “ … sono ancora presenti, oggi sono certamente diverse ed adeguate ai tempi … Oggi portano i “blue-jeans”, gonne corte, magliette colorate. Hanno i capelli non solo biondi, ma con i “colpi di sole” e le “meches”, tagliati a caschetto o sfrangiati. Però, ed è quello che conta, fanno ancora le “meraviglie” di un tempo, anche se lavano i panni con la lavatrice, anziché al torrente, usano il telefonino anziché la voce nel bosco e scrivono i “segreti del formaggio” sulle etichette obbligatorie anziché insegnarli ai pastori. Oggi entrano nelle fabbriche, nelle scuole, negli uffici, negli ospedali, nei negozi, lasciando la loro impronta ovunque. Ma restano Anguane perché conservano la loro identità di Donne che fanno ancor oggi quello che facevano quelle delle leggende, ma sempre difendendo la loro più intima personalità …”.
Quindi le anguane sono senza tempo, non a caso le tele di Paolo Alfonsi sono firmate ma non datate.
Ed ecco che in mostra abbiamo molte anguane legate al territorio, come una Anguana polesana in jeans; tre romantiche anguane di Teolo, San Vito e Arquà; una decisa Anguana di Val Bona ma anche una Anguana perplessa forse sul da farso o forse sul suo futuro ed una Anguana in attesa; due anguane, per così dire, in carriera: una studiosa ed una geologa; ed infine una classica Anguana del fuoco.
Come sono le anguane di Paolo Alfonsi? Abbiamo già visto che per l’artista sono donne “giovani, belle, a volte scontrose”, ed è Carla d’Aquino Mineo, (in L’incanto del vedutismo veneto e le Anguane del maestro Paolo Alfonsi, in Atelier della Maison d’Art, senza data, Padova) che ci permette di approfondire ulteriormente la visone di Paolo Alfonsi: “ l’immagine di donna non è solo bellezza estetica, dove l’effetto visivo diviene nella luminosità incanto nel fascino dell’armonia, ma linguaggio dello spirito, aprendoci, così, un varco alla sognante fantasia dell’autore in una narrazione allusiva, quanto, fantastica nel clima silente dell’arte pittorica”.
Una particolare attenzione deve essere posta nella osservazione della scenografia posta a completamento della iconografia delle anguane: a volte un particolare architettonico che richiama la geolocalizzazione dell’anguana, come nel caso di Valbona con il castello o di Arquà Petrarca con il sarcofago del Poeta o ancora di Teolo con il Palazzetto dei Vicari. Più spesso si tratta, come forse è giusto che sia, di utilizzazione di gruppi montuosi come sfondo, anche grazie all’amore di Paolo Alfonsi per la montagna, come il gruppo dell’Antelao o il gruppo dell’Agner. Questi “sfondi” sono sempre parte complementare ma fondamentale per la lettura e la comprensione dell’opera, e l’identificazione delle caratteristiche di quella specifica anguana.

… e altre storie

Lo sfondo nelle opere dedicate alle Anguane ci ha portati a vedere un Paolo Alfonsi che non si dedica solo alla figura femminile, anzi amplia la sua visione nella raffigurazione di paesaggi.
I paesaggi di Alfonsi sono dipinti con forte risalto plastico-pittorico. Il quoziente simbolico, oltre la grandiosità panica di Segantini o lo struggente sintetismo di Hodler, si relaziona a momenti 02dell’opera che ha in sé un racconto vastissimo in continua analogia con la visione totale. Il senso trionfale della natura acquisisce consonanze maggiori anche se non giocati su paesaggi tonali, intessuti di luci e di ombre, del bellunese Toni Piccolotto.
Stranamente, nei paesaggi di Alfonsi è assente la figura umana, ma non la reificazione che si vede nei paesi presenti in alcune opere, oppure in una carriola e una panca lasciati sotto un portico, o nel vasellame di una natura morta.
In queste opere, forse soprattutto nel recente ciclo dei Cieli realizzao nel 2015, l’arte di Paolo Alfonsi corrisponde in maniera perfetta e combacia con la sua prima esigenza esistenziale: esprimere attraverso la mediazione naturale della pittura il suo sentimento della vita. Non ci sono rimpianti, né nostalgie; esiste, invece, la coscienza di un mondo perduto, del quale Alfonsi, come tanti, ha ereditato il linguaggio e l’urgenza della comunicazione. Alfonsi è cosciente di questo processo, per cui il bagaglio dei ricordi si trasforma in memoria, da memoria diviene storia e da storia si fa figura di/sul futuro.
Nello studio silenzioso di Palazzo Savonarola a Padova, Alfonsi raccoglie le istanze sentimentali del suo mondo originario e le coniuga con la volontà di esprimerle in modo che la 05comunicazione avvenga nella maniera più piena ed avvincente.
Credo che, forse inconsciamente o più probabilmente consapevolmente, Paolo Alfonsi abbia fatto sue le parole scritte da Dino Buzzatti nel 1956:
“Per capirle, le Dolomiti, veramente, occorre un po’ di più. E non vogliamo dire arrampicate in piena regola. Bastano i sentieri. Entrare, avventurarsi un poco fra le crode, toccarle, ascoltarne i silenzi, sentirne la misteriosa vita”. (Le montagne di vetro: articoli e racconti dal 1932 al 1971, a cura di E. Camanni, Vivalda Editori, 1989)