È difficile per chi è abituato ai canoni dell’arte occidentale, con i suoi soggetti e le prospettive nate da Piero della Francesca, capire di primo acchito lo spirito che anima la pittura cinese, che appartiene ad un altro mondo, di cui mantiene a tutt’oggi inalterato lo spirito primordiale rispettando tecniche e soggetti. Per poter comprendere quindi l’opera della pittrice Xiaohong bisogna avere almeno qualche elemento che ne renda possibile la lettura e l’interpretazione.
Il fondamento della pittura cinese è costituito dai celebri «Sei principii della pittura», definiti per la prima volta da Hsieh Ho, nel suo famoso trattato Ku Hua P’in Lu ( che può essere tradotto come Antica cronaca della classificazione dei pittori) scritto alla fine del V sec. d.C. Il primo, che è indubbiamente il più importante perché contiene l’essenza di tutta l’arte pittorica cinese, è espresso con soli quattro ideogrammi e non è facilmente interpretabile, anche perché le traduzioni differiscono l’una dall’altra. Le quattro parole della regola sono: spirito (oppure spirito vitale,  respiro), concordanza (o risonanza), vita, movimento. Una sintesi potrebbe essere contenuta nella frase “La vita dello spirito nel ritmo delle cose”. In pratica questo primo, fondamentale, principio indica che il pittore deve cogliere il flusso vitale attraverso la sintonia col proprio spirito, più precisamente con il proprio spirito vitale.
Gli altri cinque principi danno indicazioni sull’utilizzo del pennello in modo da rendere essenziale la raffigurazione del soggetto rappresentato; di ricercare la somiglianza; di studiare armonia e fedeltà dei colori; di studiare, nell’opera, “piano, disegno, atteggiamento e collocazione”; di raccogliere l’esperienza del passato eseguendo copie.
Si capisce quindi come alla base dell’arte pittorica cinese ci sia lo studio (non la riproduzione più o meno fedele, contrariamente a quanto potrebbe apparire) della natura, e delle armonie che la compongono
L’interesse per la natura ha, nell’arte cinese, superato l’interesse per il corpo umano al punto che gli artisti non ritraggono mai il nudo maschile o femminile se non in rappresentazioni erotiche estremamente realistiche e crude nella loro raffigurazione, e nelle statuette femminili usate dai medici per uso diagnostico. Questo non vuol dire che nell’arte cinese non siano presenti contributi sensuali, non fosse altro che lo sviluppato gusto estetico degli uomini colti, attenti alle belle materie, la bella scrittura e le belle lettere in primis, ma anche per tutto ciò che concerne tatto, odorato ed udito nel trattamento dei rotoli di scrittura o dei disegni, nella costruzione delle raffinate custodie in seta o in lacca. Ma questo sono dei corollari che si sviluppano attorno alla pittura, e che semmai sottolineano la sensibilità quasi morbosa del cinese colto e raffinato.
Questo intreccio permette inoltre la creazione di una critica delle arti figurative non seconda a quella del mondo occidentale.
Mentre i principi dal secondo al sesto si possono apprendere con lo studio e l’esercizio, il primo deve appartenere all’artista, deve essere innato in lui e «crescere nel silenzio dell’anima», come scrive uno dei maggiori critici di epoca Sung Kuo Jo-hsű, nel T’u Hua Chien Wȇn Chih (titolo traducibile come Note su ciò che si è visto e sentito ( riguardo alla) pittura, scritto nel 1047) e non può essere acquisto ne grazie ad altre abilità possedute dall’artista ne con la pratica per quanto assidua, questo perché “le opere pittoriche sono create nella mente, emesse e rivelate dalla punta del pennello. L’illusione della forma delle cose è prodotta in maniera misteriosa, capace di suscitare l’emozione negli uomini e di destare la grandezza della loro anima”.
Il primo principio può essere fatto coincidere con il Tao, l’indefinibile principio universale su cui si basa il Taoismo, quindi non può essere raggiunto con la sola volontà, anche se costante e illuminata. L’artista deve avere una profonda e completa armonia spirituale e fisica con la Natura, il paesaggio cinese è quindi, in effetti, espressione di una visione del mondo realizzata applicando il tao-buddista con precise concezioni di cosmologia, di ordine geomantico, medico, etc. Serve quindi un «Tao pittorico» che diventa l’essenza stessa della pittura cinese.
Ma è sufficiente avere il “Tao pittorico” ? La risposta è certamente no, come ha scritto Su Tung-p’o, poeta, pittore e critico d’arte ( 1036-1101) “Vi sono uomini che hanno il Tao e conoscono l’arte, altri hanno il Tao, ma non conoscono l’arte: sebbene le immagini si formino nella loro mente, non prendono forma dalle loro mani”. L’abilità tecnica del pittore è spesso sottolineata dai testi che, quasi sempre, la ricollegano all’abilità dei calligrafi (“Tutti quelli che riescono nella calligrafia, riescono anche nella pittura perché piegano il polso e muovono il pennello senza impaccio”, scrive T’ang Yin, XV sec., uno dei «Quattro Grandi Maestri»).
Ma più importante del soggetto, più della tecnica e dello stile è fondamentale l’atto creativo visto come gesto istintivo dettato dall’ispirazione. L’importanza di questo rapporto fra la vita del soggetto rappresentato e lo spirito dell’artista viene chiaramente espresso da un antico trattato attribuito a Ching Hao, pittore del X secolo, scritto come dialogo fra un vecchio sapiente eremita e un giovane pittore, si afferma che i difetti dovuti a mancanza di ch’i-yűn (che può essere tradotto più o meno come “risonanza dello spirito”) rendono le composizioni stravaganti e morte nonostante la possibile abilità tecnica, e, di conseguenza, assolutamente sbagliate. Semplici difetti tecnici o di forma non rovinano invece una composizione che abbia ch’i-yűn, perché è indubbiamente un’opera d’arte.
Le opere qui visibili appartengo a Xiaohong, che è una pittrice di tipo Fiori e Uccelli di Gongbi, la cui definizione deriva dal cinese gong chin che potrebbe essere tradotta come “ordinata” nel senso di un utilizzo del pennello per delimitare i dettagli con grande precisione, uso dei colori e soggetti di tipo naturalistico, in particolare fiori ed uccelli.
Lo stile Gongbi avuto il suo inizio circa 2000 anni fa, durante la dinastia Han (206 aC - 220 dC), quando la stabilità politica di Han e la sua prosperità favorì il progresso delle arti. Questi dipinti hanno raggiunto la massima diffusione tra le dinastie Tang e Song (dal 7 ° al 13 ° secolo), quando questi dipinti raffinati sono state raccolti dalle famiglie reali della Cina, infatti solo i ricchi potevano permettersi le opere di questi artisti, in quanto data l’accuratezza del segno il tempo di realizzazione di ogni opera è sempre molto lungo.
Per lavorare utilizzando lo stile Gongbi è necessario iniziare disegnando con linee sottilissime per delimitare le forme e crearle il più possibili simili a quanto fatto dalla Natura, quindi si utilizza inchiostro di China diluito e vari strati di colore cercando sempre di avvicinarsi alla perfezione dell’arte ed a quanto indicato nel “Sei Principi della Pittura” prima enunciati.
La pittrice Xiaohong, che è una professionista cioè vive di pittura dopo essersi laureata nel Training Center dell’Associazione Artisti Cinese, e già questo da solo è una prova del livello artistico raggiunto, dimostra con il suo lavoro non solo di possedere tutti e sei i principi fondamentali previsti da Hsieh Ho nel citato trattato Ku Hua P’in Lu ma anche, soprattutto, di avere dentro di se l’anima della Cina e del grande popolo cinese.