Nell'infaticabile e portentosa opera della sua lunghissima vita, Tiziano eb­be modo di lasciare anche nella nostra città il segno indubbio del suo genio pittorico; come hanno fatto quasi tutti i maggiori pittori veneti, oltre che Giotto, Donatello, Filippo Lippi, Pao­lo Uccello e Piero della Francesca (per limitarci ai più importanti), che sicuramente hanno operato nella nostra cit­tà, anche se le loro opere sono presso­ché scomparse tutte.

Ma non solo Tiziano ha operato molto a Padova, (sia pure con la sua bottega, o scuola, sì che la più parte delle pitture é lavoro del Campagnolo, del Gualtiero dal Santo, o di Stefano dell'Arzere) ma ha dipinto autentiche «decorazioni» murali, lui che può considerarsi l'artista individualista del suo tempo, forse il solo e il primo pit­tore da cavalletto del suo tempo (se, come si deve, dobbiamo considerare decorazione murale anche le poderose tele con cui Tintoretto copriva poi le grandi sale, come per esempio la scuo­la di S. Rocco in Venezia).

Nella scuola del Carmine, che ha avuto distrutto il soffitto dalla guerra attuale, nelle decorazioni di questa scuola c'é indubbio il segno della pre­senza di Tiziano, comunque dei suoi allievi e aiuti diretti. E così nella scuola di S. Rocco, in via S. Lucia, tutt'ora chiusa per un restauro che si trascina ormai da troppo tempo.

Nella scuola di S. Rocco, quasi tut­ta decorata dagli allievi o aiuti di Tiziano, c'é non meno che altrove il segno della mano del maestro, almeno in due affreschi, senza dire di uno, forse il primo dipinto nella Scuola che potreb­be essere un segno giovanile del futuro genio del colore.

Ma non é tanto di queste cose mi­nori e marginali che vogliamo parlare, né dei probabili Tiziano del nostro Museo Civico (con la girandola di at­tribuzioni più che mai in moto e giustamente magari, non é cosa facile attri­buire opere di stile medio anche se di alto valore).

Nella scuola del Santo, del resto, c'é abbastanza materia per poter affer­mare che la nostra città possiede almeno in un affresco (il solo, del resto, che non abbia subito deterioramenti almeno visibili) uno degli autentici capola­vori di Tiziano.

Ma più singolare ancora sembra a noi, il risultato raggiunto da Tiziano in quest'opera murale anche nella tecnica e nella «materia». Non é pittura a fre­sco (tecnica questa che é come all'anti­tesi del mondo pittorico di Tiziano), e tuttavia é decorazione murale nel senso più preciso: qui Tiziano é ricorso a una tecnica complicata che ricorda molto l'encausto dei pittori pompeiani, tecni­ca capace di permettergli timbri e so­norità pittoriche non inferiori a quelle, famigliari per lui, delle pitture a olio, ed ha portato a compimento l'opera nel modo più lusinghiero. E da credere che questo della Scuola del santo sia il solo saggio di pittura veramente murale di un Tiziano che fuori della pittura da cavalletto sembrava smarrirsi del tutto. Quattro certamente sono gli af­freschi di mano di Tiziano, nelle scuole del Santo, e altri due, con cartone suo, sono probabilmente di mano di allievi o aiuti.

Appena entrati, quasi figure vere collocate alla base stessa del muro, e col compito, sembra, di accogliere i vi­sitatori, Tiziano ha dipinto due «fra­telli» che distribuiscono pani, quasi sotto un altarino cui due poderosi putti tengono aperti in doppia diagonale i due tendaggi rossi. Pittura questa, a dire il vero, di non grande forza pitto­rica: nei due fratelli, uno addirittura in atteggiamento patetico, freddi e quasi inerti come sono (« in posa », Si direbbe ora) sembra che Tiziano si sia messo in gara con se stesso per essere «bravo», per tare i due frati assolutamente veri in ogni minimo particolare... Così per la «statuetta» del Santo, come di mar­mo, posta fra i due baldi putti che, i soli in questa pittura, hanno accenti di indubbia forza plastica. Ma viene, giu­sto sopra i due fratelli, la prima figura­zione, e la prima forse che Tiziano ha dipinto per la Scuola.

A sostenere un coro circolare, com­plesso e intenso di figure, uomini e donne variamente e superbamente al­ternate (una vetrina stupenda di ritrat­ti) Tiziano ha posto sulla sinistra l'an­golo di un palazzo, con l'immancabile statua eroica, veramente eroica, e nel rimanente spazio un'apertura di pae­saggio, e un poggio con alberi, dal co­lore cantante, che chiude la storia sulla destra.

Nel paesaggio vi sono tracce, se vo­gliamo, di tonalità giorgionesca, ma l'opera rimane come una poderosa fi­gurazione del più grande Tiziano.

C'è ancora, in continuazione a que­sto affresco, la storia dell'avaro non attribuita a un allievo o aiuto del Tiziano, e tuttavia l'avaro morto e così ter­reo sul letto, e il coro di «curiosi », e la poderosa apertura del paesaggio fra il colonnato d'un superbo palazzo de­nunciano a usura che almeno il carbo­ne, di questo affresco, é opera di Tiziano.

Ancora due affreschi sono attribui­ti a Tiziano, nella parete sinistra, en­trando, e uno diviso in due (non é nella natura di questa nota dire delle altre pitture che fanno anche loro uno stu­pendo gioiello della piccola scuola del Santo, che anche nel soffitto, a casset­toni, non é meno prezioso).

Il miracolo del bimbo cascato nella pentola d'acqua bollente, e del Santo che lo risuscita: due storie, queste, che il tempo ha molto danneggiato, mentre d'altra parte solo nella donna curva sul bimbo morto nella pentola si sente evi­dentissimo il segno della mano del maestro, e non tanto nel colore quasi distrutto dal tempo quanto nella pode­rosa struttura della donna.

Nella storia che segue, del piede riattaccato dal santo, abbiamo un'altra pittura di livello artistico decisamente alto. Attorno al giovane dal piede tagliato disteso a terra ancora un coro stringato e poderoso di figure, di umanità attenta e preoccupata per la sorte del giovane ferito.

Nell'unità e rigore plastico e pitto­rico che unisce come in un filo invisibi­le tutti i personaggi della scena, Tiziano non dimentica di darci anche tutta una serie di stupendi ritratti individuali, tanto sono le persone presentate; e ognuna, uomo o donna, col segno inconfondibile della sua personalità.

Ancora si può notare, infine, su questo affresco, che il paesaggio ha to­nalità fresche, cristalline e limpide, e per la «costruzione», decisamente giorgionesche, da ricordare la struttura della giovanile quanto famosa pala di Castelfranco.

Ed eccoci, all'opera più importan­te. Vogliamo dire qui dell'Uomo che pugnala la donna, racconto che si svi­luppa, a mò di narrazione multipla, nel miracolo del Santo che dimostra, all'inginocchiato marito, l'ingiustizia del suo gesto insano.

E questa pittura, un capolavoro fra i più alti del maestro veneto. E con Giotto, Donatello e ciò che é rimasto del Mantegna, é certamente quanto di più prezioso possieda la nostra città.

Ed é un'opera tanto più interessante in quanto si tratta di una pittura murale: fatto certamente non di poco conto, questa della tecnica murale, anche se si tratta di encausto, o simile, e non af­fresco come é per i toscani, o per il Ve­ronese delle grandi decorazioni murali di Maser e altre Ville palladiane.

Contro un monte di peso e propor­zioni sovrane (e, sovrapposto, l'im­mancabile albero ricco del verde inten­so delle foglie), ma come obliquo nella struttura, Tiziano ha posto l'uomo nel gesto drammaticissimo del pugnalare (le prodigiose linee bianche e rosse del suo vestito sembrano moltiplicare all'infinito il moto agitato del pugnale stretto dalla mano) e la donna ai suoi piedi riversa, vista come di scorcio an­che nella drammatica quanto fastosa contorsione del corpo baroccamente vestito di stoffe pesanti, quasi gialle. Così nel tono estremamente acceso del viso della donna sembra che Tiziano abbia voluto imprigionare un'autenti­ca fiammata di fuoco.

L'ampia sebbene obliqua apertura del paesaggio e della scena che ripren­de in un secondo piano, come in aperta campagna,Tiziano ridà alla storia un tono e un accento quasi innocente, rag­giungendo una musicalità limpida, dolce, primaverile. Questo affresco che Tiziano ha dipinto per la Scuola del Santo, non é poi, tutto sommato, come un'inutile impagabile gemma, nella nostra città (e non vogliamo allu­dere soltanto al suo valore culturale quanto o anche turistico)?

Siamo noi gli eterni brontoloni, o é la nostra cittadinanza (i giovani so­prattutto) che sono come tenuti all'oscuro dei valori che hanno a portata di mano?