La pittura cinese assegna un ruolo importante al pennello che serve per tracciare la forma. Prove dell’uso del pennello nella pittura cinese esistono già al tempo della Dinastia Zhou (1122-770 a.C.). L’asta a cui sono fissati i peli o le setole, modellati a forma di goccia, è quasi sempre a forma di bambù.
Solitamente il pennello viene tenuto in posizione perpendicolare al foglio e i tratti vengono applicati con il movimento della spalla e del gomito. Dipingere muovendo il polso o le dita è considerato un errore.
Quelle stupende tavolette nere, riccamente decorate con coloratissimi soggetti, arabeschi d’oro o brani di calligrafia cinese, sono l’inchiostro. Se il pennello è lo strumento, l’inchiostro è il mezzo che permette di visualizzare le idee artistiche. L’inchiostro cinese è formato da fuliggine o nerofumo impastato con colla e aromatizzato con canfora o muschio. Una volta essiccato viene venduto sotto forma di tavolette o di bastoncini.
Tra gli ingredienti usati troviamo polvere di giada, di perle, di lacca grezza mescolati alla fuliggine di un pino particolare. Oggi si produce anche il tipo “oil-smoke” ricavato bruciando olio di semi del “Tung” (un albero cinese misto a resina di lacca. Il suo nero, quando non è diluito, è superiore a quello dell’inchiostro tradizionale. Per questo è preferito dai pittori contemporanei. Esistono anche tavolette d’inchiostro di diversi colori.
La pietra per l’inchiostro è una pietra particolare che viene accuratamente scelta, lavorata, scolpita. Pur nelle forme più varie, squadrate o arrotondate, è sempre formata da una duplice vaschetta che raccoglie nella parte più profonda l’acqua e nella parte più spaziosa la polvere ottenuta sfregando la tavoletta d’inchiostro sulla pietra. Il costo di queste pietre varia da poche migliaia di lire a diversi milioni ed esiste una precisa classificazione di essa a seconda delle venature, delle sfumature di colore che vanno dal grigio-piombo al nero, determinandone il valore commerciale. La tavoletta d’inchiostro sfregata su queste pietre lascia una polvere così fine che diluita nell’acqua non lascia traccia.
Il primo materiale impiegato nella pittura, ad eccezione di quello usato per decorazione nelle arti minori come vasellame, suppellettili, mobili, è stato certamente la seta. La parte più importante è la trama che deve essere finissima a tal punto che si fatica a distinguerla dalla carta. Trattata con appretto, amido, gesso e talvolta bollita in acqua e glucosio diventa lucida, brillante, accogliendo l’inchiostro o i colori senza lasciarli spandere, valorizzando al meglio le qualità cromatiche.
Mille anni prima che venisse introdotta in Europa, nel 123 a.C. da Cai Lun, sotto la dinastia Han, venne inventata la carta. Ben presto il nuovo prodotto sostituì la seta come supporto nella pittura sia per il basso costo che per la grande varietà di tipi in cui poteva essere fabbricato. Ma un altro particolare rese la carta sempre più popolare nell’ambito dei pittori: l’idoneità della sua superficie ad accogliere l’inchiostro e i colori.
Alla carta viene aggiunto uno strato di appretto, della colla per renderla consistente e meno intaccabile dall’umidità. La maggior parte dei dipinti viene fatta oggi su carta.
L’elemento essenziale della pittura cinese rimane il tratto del pennello che con tocchi rapidi, precisi, distribuisce l’inchiostro e il colore sul supporto. Anche nella pittura contemporanea, come in quella classica, i generi pittorici più trattati si possono ridurre a quattro:
- Shan shui (monti e acque), paesaggi;
- Ren wu (personaggi), figure umane in genere;
- Hua niao (fiori e uccelli), soggetti che riguardano la natura viva: fiori, frutta, alberi, uccelli, insetti e animali di piccola mole;
- Ling mao (uccelli e animali).
Il formato più diffuso è certamente il rotolo. Ne esistono due tipi:
- Li Zhou o rotolo verticale che si appende alla parete;
- Shou juan o rotolo orizzontale che si srotola da destra a sinistra.
Ogni rotolo è formato dal dipinto applicato su un supporto, robusto ma anche pieghevole, da una cornice solitamente in seta damascata che viene accuratamente scelta nel tono che più si adatta al dipinto e da due cilindri di legno laccato, fissati ai due lati più stretti di questo rettangolo. Oltre a tenere con il loro peso la tela tesa, i cilindri servono anche per arrotolare il dipinto prima di riporlo.
Diamo un esempio di montatura di un rotolo verticale di un dipinto su carta:
a) zhou gan: cilindro di legno per rotolare il dipinto;
b) tian: cielo, parte superiore;
c) su xiang: bordo che circonda per primo il dipinto di colore differente da quello del tian e del di;
d) yang ju: protezione del dipinto, in genere broccato di seta;
e) hua: dipinto;
f) di: terra, parte inferiore
Una delle cose che meravigliano l’occidentale è la presenza di numerosi sigilli, quei timbri in inchiostro rosso-lacca con ideogrammi, che si trovano nei dipinti cinesi classici o contemporanei. Prima del XII secolo, il sigillo come firma dell’opera non esisteva. La mania, o moda, iniziò con Hui Zong, ultimo imperatore della dinastia Song del Nord (960-1127) che pose la sua firma abbreviata, accompagnata dal suo sigillo su un suo quadro. Non molto tempo dopo gli artisti cominciarono ad apporre il loro sigillo sui dipinti, per attestare la loro autenticità e anche per dare un tocco di civetteria con il rosso-lacca del timbro. In seguito, il sigillo venne anche usato dai proprietari del dipinto, per indicare non solo la proprietà ma anche il loro apprezzamento sull’opera. Una specie di giudizio critico. Il colmo è stato toccato dall’imperatore Qianlong (1736-1796) che ha messo il suo sigillo su tutti i dipinti antichi in suo possesso.
Oggi i sigilli posti sul dipinto sono solitamente pochi: uno con il nome vero del pittore accompagnato da un altro sigillo con il nome d’arte. A volte questo nome d’arte è una frase tratta da un classico della letteratura. Lo stile del sigillo è importante perché denota la cultura, il carattere, la personalità dell’autore. Molti di questi sigilli sono incisi dagli stessi autori.
Un’altra caratteristica della pittura cinese è la presenza sul dipinto di un brano calligrafico. Questo uso data dalle dinastie Yuan e Ming. Da allora, molti pittori che erano anche letterati presero il vezzo di scrivere brani calligrafici sui loro dipinti. L’ideale perseguito da questi artisti era: “poetare dipingendo e dipingere poetando”. Gli scritti sui dipinti sono poesie, brani dell’artista, brani tratti da classici o semplici riflessioni dell’artista. Una cosa è certa, il dipinto e il brano calligrafico non sono due realtà separate o sovrapposte, ma fanno parte di un’opera unica, si completano a vicenda. L’uno rende più comprensibile l’altro. Spesso il brano calligrafico è l’anima del dipinto, dà la chiave di lettura dell’opera artistica, rivelando i sentimenti, le sensazioni, le idee dell’autore.

(estratto da http://www.tuttocina.it/tuttocina/arte/pittura/pittcin.htm#.UZihaUokRZY)