Si chiama “minimalismo”? Non so se si possa definire così la pittura lineare e spoglia di Giulio Marcato. Di certo ama la chiarezza, la semplicità, i colori deboli ma ben dosati. È elegante, di una eleganza che definirei “zen”.
Lo sguardo teso all’infinito, il perlaceo incarnato: le fanciulle, per lo più in bianco come fosse candida tunica, statuarie danzatrici di una mitica coreografia, sono le vere metafore dell’agire quotidiano riflesse nell’Idea.
In Giulio Marcato, l’uomo affida alla figura femminile la propria ragione esistenziale, il riflesso del proprio destino. Nella libertà espressiva, ma ugualmente contenuta nel candore dei corpi, di quella nota vivificante, che, nel riallacciarsi alla memoria, fa da specchio al battito della soggettività indicando il connubio tra ragione e sentimento.
Le opere di Giulio Marcato consegnano l’eredità del passato alla potenza evocativa del presente, siamo alla realtà dell’irreale: tutto è illusione, anche la vita.
Nella luce interiore si cela l’anima diafana di volti, mani, atteggiamenti, sospesi in una dimensione infinita. Pennellate intense, frutto di passaggi cromatici diradanti, ma altrettanto dolci ed instancabili, possiedono lo spazio: l’incommensurabile, tra reale e metafisico, cui il sereno introspettivo procedere dell’artista affida una pittura a-temporale dall’altissimo valore poetico, tra spiritualità evocatrice e ispirazione tematica. La figura umana, precipuamente femminile, è l’evidente fil rouge che informa la pittura di Giulio Marcato.
Ciascuna opera diventa un’armonia compiuta ma perfettibile, nelle fasi del lungo preparatorio. Ad esempio, la tela, superficie impressa da quei pigmenti che fissano la luce per trasformarla in energia vitale. E, ripercorrendo un sentiero spirituale di classico respiro, la campitura del figurato a prospettiva centrale – entro piani spaziali profondi, aggettanti, per il netto tracciato di linee diagonali - riedita la “divina proportione” della sezione aurea. Quell’antica regola mistica dell’armonia nelle arti e nelle scienze, desunta da Masaccio, Paolo Uccello, Leonardo, Piero della Francesca, Bernardino Luini, Botticelli, Brunelleschi … A seguire, scandito nel tempo, il momento puramente riflessivo: cesello formale (sull’equilibrio simmetrico tra spazio, luce, immagine) con lo scrupoloso esame allo specchio dell’opera finita, ma comunque sottoposta all’introspettivo ‘labor limae’, vera e propria radice del rigore e della memoria che, esaltando severità e disciplina, ancor più vivifica allo sguardo l’armonia, la forza imperscrutabile di quei personaggi.
Le opere esposte daranno al pubblico l’occasione di confrontarsi con i classici temi e soggetti del maestro: il silenzio di stanze colme soltanto di luce. E ancora: nudi di splendide fanciulle all’apice della loro femminilità, al telefono, mangiando anguria o più spesso in attesa di qualcosa/qualcuno; figure in pose ieratiche. Affascinante nei dipinti la resa di una languida innocenza costruita intorno a elementi dal forte impatto visivo, come l’insistito candore della carnagione. Più volte affrontato il tema della Vanitas vanitatis, come quando in un’opera dello stesso titolo del 1975 compaiono una bambola (la fanciullezza), la giovane splendente nella sua candida nudità che si riflette nel volto di una vecchia in uno specchio; e il tema della vanitas compare ancora in Ricordi di infanzia (1977) ambientato in uno scompartimento ferroviario (il tema del treno, probabilmente visto anche come viaggio attraverso la vita, compare spesso nelle opere di Giulio Marcato) abbiamo la bambina con la bambola accanto ad una anziana donna (la nonna?) con di fronte una giovane fanciulla, sul tavolino ribaltabile posto sotto il finestrino pare esserci una mela: simbolo della tentazione.
L’opera di Giulio Marcato proviene da una evoluzione sistematica di una razionalità naturalmente tesa al vaglio sensibile e profondo dell’animo umano. Sono tappe di un cammino stabilito: la geometria come struttura compositiva.
E poi la luce: vera illuminante matrice pittorica.
I lavori di Marcato possono essere classificati come dipinti che descrivono un luogo segreto e pieno di mistero, un luogo che emana un segreto riflessivo.
A volte pare quasi che si tratti di un luogo celeste.
Oltre il reale.