È stata la Grande Guerra del Novecento. La prima che abbia ottenuto, purtroppo, l'aggettivo "Mondiale" anche se in realtà non ha avuto quegli effetti globali che invece hanno realmente caratterizzato il secondo conflitto del secolo. Inoltre la Grande Guerra ha interessato direttamente, con il suo carico di distruzione e disperazione, solo una parte della penisola italiana, quella più settentrionale. Anzi, il fronte del conflitto, sanguinoso e millimetrico nel suo prolungato immobilismo - se si esclude la tragica ritirata dopo Caporetto e l’eroica resistenza lungo la linea del Piave - andava principalmente dallo Stelvio al Carso, quindi dal Trentino al Friuli. Il resto dell'italica penisola ha visto la guerra, la trincea, perché vedeva partire i giovani "figli della Patria" e spesso non li vedeva tornare. Le notizie giungevano frammentarie da un fronte che per molti italiani del centro e del sud era davvero lontano, quasi straniero. Solo alcune città della costa adriatica furono colpite da episodi bellici che però non ebbero particolare peso nella storia del conflitto. Il Novecento, poi, ha consegnato ai libri, alla memoria collettiva e storica, altre pagine, altrettanto tragiche. Ma nella memoria dei centenari di oggi e nella coscienza di chi ancora non era nato ma ha capito, la Grande Guerra è ancora viva, così come nel sentimento popolare, soprattutto tra le valli del nord, dove tra cimeli e reperti, ritrovamenti e commemorazioni, la Guerra è sempre d'attualità. E lo deve essere, per quell'immenso insegnamento che ha dato e che troppo facilmente si fa dimenticare, come dimostrano ancora i sanguinosi conflitti che anche pochi anni fa tormentavano il Vecchio Continente in quei Balcani dai quali scoccò la scintilla che ha portato proprio alla Prima Guerra Mondiale.

A raccontare quei giorni, in un'epoca priva di internet, senza social e televisione, senza grandi organi di stampa, a spiegare la guerra alle famiglie rimaste a casa, così lontane dal fronte, c'erano solo le testate, quotidiane e periodiche, dei giornali d'allora. Tra tutte – conosciuta anche ai più giovani – c'era “La Domenica del Corriere", che ogni settimana aggiornava i lettori italiani sui successi e gli insuccessi del fronte, sulla vita in trincea, sui brindisi di Natale nelle ridotte, e tentava di conservare quel tenue filo che univa le famiglie rimaste a casa e i "figli della Patria" italiana, che combattevano sull'Adamello, nel Carso, su tutto l'arco Alpino nord orientale.

Nelle copertine de "La Domenica del Corriere" viene raccontata una vicenda umana e militare, sociale e strategica, che è patrimonio dell'Italia intera e che non deve essere dimenticata. Nei libri di storia, sui banchi di scuola, spesso il conflitto viene studiato con superficialità, preferendo ad esso i valori delle guerre d'Indipendenza precedenti o la drammatica tragicità dell'ultima guerra. Non bastano i pochi documentari girati in quegli anni per spiegare la Grande Guerra a chi la vive come un evento lontanissimo, estraneo alla storia italiana di oggi. Non bastano le fotografie, i ricordi sempre più rari degli ultimi grandi vecchi. Le copertine di Beltrame per questo assumono un significato ancora più preciso, pungente. Non sono fotografie, non sono immagini che fissano la storia sulla pellicola. Sono la riproduzione umana di quel dolore, di quelle giornate di guerra. Quindi meno fredde e più cariche di sentimenti, di pietà per lo sconfitto, di gloria per il vincitore. La storia arrivava nelle case degli italiani grazie alla matita di un artista.

Dalla raccolta del settimanale "La Domenica del Corriere" vengono scelte le pagine originali datate 1915 e 1918 uscite nel periodo del conflitto. Nelle copertine disegnate dalla mano di Achille Beltrame i Natali vissuti al fronte, i modesti festeggiamenti, le lettere a casa, le imprese eroiche. Lo sfondo è quello dei monti trentini, friulani e veneti, i volti, da una parte e dall'altra, sono quelli dei nostri avi. La storia, comunque la si pensi, è la nostra.

Da anni in tutta Italia, ma soprattutto nel nostro Triveneto, si susseguono iniziative e manifestazioni in qualche modo dedicate al Centenario. Una ricorrenza che dura da un paio di stagioni e che andrà esaurendosi, raggiungendo il suo clou, nei prossimi mesi e il prossimo anno. Nel novembre 2018 il Centenario sarà pienamente compiuto e forse, più di quanto non sia stato finora, la Grande Guerra inizierà ad essere parte di un passato da non dimenticare ma da superare e assimilare. Soprattutto oggi che nuove, imprevedibili “freddezze” sembrano allontanare i popoli d’Europa, gli Stati che l’hanno unita. Un sentimento che in realtà non si risconosce nelle genti d’Europa ma più negli establishment, che spesso – fin troppo – ne fanno uno strumento di lotta politica. Si diceva di non ricadere negli stessi errori. Il Centenario serva anche a questo.

Una mostra, quindi, che può diventare una rassegna documentativa di grande suggestione e nel contempo monito per una triste, costante attualità. Che va osservata per il suo valore didascalico, per gli insegnamenti sicuramente validi ancora oggi su ciò che era la propaganda in tempo di guerra, ma anche per il nascente senso di appartenenza ad una nazione giovane, incompleta, quale era l'Italia di inizio Novecento. Una mostra che deve ricordarci che in qualche angolo del pianeta, anche questo risveglio, sarà ancora un’alba di guerra.