Carlo LeviCarlo LeviCarlo Graziadio Levi nasce il 29 novembre 1902 a Torino, nella casa di campagna della Val Salice della nonna Grazia.
Carlo iniziò molto presto ad apprendere dal padre l’arte dell’impasto dei colori a olio; catastrofica sarà invece la sua iniziazione al pianoforte, interrotta rapidamente.
Carlo frequenta il liceo “Alfieri”: con lui Mario Furbini, Federico Chabod e, soprattutto, Natalino Sapegno, compagno di studi ma anche di vivificanti ascensioni in montagna. Un’amicizia ricca di scambi anche epistolari: di grande interesse un carteggio tra i due a ridosso dell’avvento di Mussolini al potere.
Sarà proprio questo forte contrassegno di spoglia eticità a orientare le prime sue scelte significative in pittura nei primi anni venti. Egli stesso dirà dopo: “Quel gruppo di scuola” che comprensivamente includeva “non solo pittori, ma architetti, critici […] i cui rappresentanti più noti furono Gobetti, Venturi, Casorati, Menzio, Pagano, Persico, Spazzapan, e anche il sottoscritto”. Così attrezzato Carlo andrà di slancio, senza conoscerlo – e siamo nel novembre del ’18 – all’incontro con Piero Gobetti spinto dal “rapimento” provocatogli dalla lettura di un suo articolo su “Energie Nove”, che esprimeva in parole esplicite “tutto il vago ineffabile che era in lui”: in breve si trovò di fronte, con suo grande stupore, a un ragazzo più o meno della sua età. Divennero subito amici, affratellati dalle stesse passioni, dai medesimi slanci. Sarà Gobetti a fargli conoscere in quel torno di tempo Antonio Gramsci, il giovane direttore de “L’Ordine nuovo”, e a introdurlo alla conoscenza di Salvemini, Cattaneo e Marx.
Carlo Levi collaborerà a “Energie Nove” e a “Rivoluzione liberale” con articoli che rappresentano la sua iniziazione a una politica d’impegno “militante” e già decisamente orientati, come Antonio Salandra (“Rivoluzione liberale”, 1922, 25), Il Congresso dei Popolari (ivi, 1923, 11) e I torinesi di Carlo Felice (ivi, 1924, 17), che già segnalano un ragguardevole grado di consapevolezza etico-civile. Egli è subito antifascista, e trova in Gobetti un amico e un maestro dotato di un irresistibile potere di trascinamento.
Non trascura tuttavia gli incontri e i corteggiamenti amorosi, così bello e così sedotto dalle donne, si chiamino Maria – il cui amore finirà con un’intensa lettera d’addio di lei nel ’28, pochi anni prima di morire – oppure Paola Levi del “D’Azeglio”, sorella di Mario e di Natalia (poi Ginzburg), figli del professor Giuseppe Levi, dal fascino ineguagliabile e per ora irraggiungibile; o Vitia Gourevicht, la bella lettone dagli occhi splendenti, ben introdotta nel cenacolo artistico più influente ed esclusivo della città, che porta il nome del noto collezionista Riccardo Gualino, industriale e mecenate più ricco di Agnelli. Ma l’amore tra loro esploderà più tardi, a Parigi nel 1927. Carlo si era iscritto nel 1917 alla facoltà di medicina dell’Università di Torino, laureandosi a pieni voti nel ’24. Diventa assistente alla cattedra del prof. Micheli della Clinica medica, compie le prime ricerche sulle vie biliari, cui seguiranno alcuni corsi di perfezionamento nel ’26 a Parigi: quindi l’interruzione definitiva di questo suo iter nel ’28, a vantaggio della pittura.
La sua vita cittadina si allarga ad ambienti ed esperienze diverse. Partecipa, nel 1921, all’occupazione della “Società di Cultura” guidata da Gobetti e dal gruppo di suoi solidali portatori di nuove idee. Ospiti eccellenti: Croce, Gentile, Salvemini, Prezzolini. Contestualmente dipinge ed espone i suoi primi quadri: un Ritratto del padre esposto alla quadriennale di Torino (1923), Arcadia, Il fratello e la sorella, La madre e Lelle bambina, esposti alla XIV Biennale di Venezia del ’24: quadri improntati allora ai valori plastici del pittore Casorati.
Nel settembre del ’24 Gobetti aveva subito un’aggressione violenta che minerà la sua salute da un gruppo di squadristi. Il giornale continua a uscire nonostante i numerosi sequestri fino alla sua definitiva soppressione il primo novembre del 1925. Gobetti partirà per Parigi il 3 febbraio del ’26 con in testa grandi progetti editoriali, ma vi morirà di lì a poco, il 16 febbraio 1926. Carlo ne rimarrà profondamente segnato:  “Quella sua breve vita – dirà più tardi – è continuata in cento, mille altri […] come è proprio di chi è fatto della qualità dei santi, dei grandi politici, delle più alte figure morali”. Ne scriverà in diverse occasioni, ma il saggio più rilevante apparirà nel ’33 sui “Quaderni di Giustizia e Libertà” di cui Carlo sarà collaboratore fino al ’35. L’ultimo suo saggio andò sequestrato con l’intero numero: era dedicato al Mezzogiorno, di cui aveva già acquisito con il confino una conoscenza diretta.
Il decennio compreso tra il 1925 e il marzo 1934 può considerarsi il periodo più fervido della sua vita, ricco di incontri, di grande slancio politico, di prospettive e di affermazioni nei vari campi dei suoi interessi e degli obiettivi prefissi. Si recherà spesso a Parigi dove apre uno studio di pittura in rue de la Convention (1925) ma ne cambierà diversi nel corso degli anni. La sua vita prende un’accelerazione policentrica, sotto la spinta di nuove amicizie e incontri: determinante la conoscenza con l’intellettuale napoletano Edoardo Persico (giunto a Torino nel ’25 sull’onda del mito di Gobetti) che collaborerà all’allestimento e alla presentazione di alcune sue mostre e lo aprirà all’architettura contemporanea. Morirà improvvisamente nel ’36, in circostanze non accertate, lasciando un gran vuoto tra quanti lo avevano conosciuto.
Gli stimoli sono tanti, e si irraggiano in molteplici direzioni in una circolazione continua e variata di idee e di prospettive, di immagini e di interessi culturali, dalla pittura alla letteratura, dal cinema alla critica d’arte alla saggistica politica.
Intanto le mostre si susseguono toccando, oltre Parigi, Torino e Venezia, anche Genova e Milano, e Londra, Buenos Aires, e di nuovo Parigi e Torino, luoghi che ospitano numerose sue mostre singole o collettive, la più prestigiosa delle quali è la personale del ’32 nella galleria Jeune Europe con trentacinque opere, tra cui dieci monotipi: grandi apprezzamenti della stampa, un giudizio molto lusinghiero del direttore della galleria (“dipinge in Europeo, cioè da uomo che conosce tutte le esperienze che in Europa muovono e turbano gli spiriti e le maniere”), infine nel gennaio del ’34 una sala personale alla Quadriennale di Roma.
Carlo non cessa tuttavia di essere perdutamente innamorato di Vitia (la dipingerà in un importante ritratto di profilo datato 1933) di un amore insidiato però dalla sua condizione di orfana di madre, oppressa da una matrigna ostile. Quando tornerà a incontrare Carlo a Parigi sarà ormai sposata con il signor Kahn, uomo d’affari e di solida posizione residente in Lettonia, ostacolo obbiettivo alla loro passione. Ma la bella Vitia non manca di fare saltuarie apparizioni a Parigi, dove la passione si riaccende, lasciando però strascichi di ricordi e di rancori, struggenti poesie d’amore di Carlo e lunghe lettere di Vitia, preziose anche come testimonianza di quell’aura bohémienne  tutta parigina, nella quale tutto sembrava fluido e fruibile, e insieme fragile e precario.
Tutto questo intenso fervore di attività si arresta di colpo il 13 marzo 1934 ad Alassio, con la visita di due carabinieri che lo trasferiscono direttamente in cella d’isolamento nelle Carceri Nuove di Torino, dove la polizia fascista lo arresterà per sospetta partecipazione al movimento di “Giustizia e Libertà”, in seguito all’arresto di Sion Segre e alla fuga di Mario Levi a Ponte Tresa. Tra i fermati ci sono per ora Ginzburg, Marco Segre, Augusto Monti, Giuseppe Levi: viene sequestrato, naturalmente, tutto il materiale a stampa. Un’operazione riuscita dopo oltre un anno di pedinamenti e trappole tese da tale ingegnere chimico francese René Odin, detto Togo, di cui purtroppo Carlo Rosselli s’era fidato.
La detenzione carceraria dura dal 13 marzo al 9 maggio ’34: un periodo obiettivamente breve, ma che segna l’inizio di una svolta esistenziale, chiuso com’è di colpo in uno spazio che si è improvvisamente ristretto, una sorta di viaggio nel “mondo dei trapassati”. Quello spazio  entro il quale Levi si era abituato a muoversi con tutta la sua illimitata tensione vitale si è contratto a un punto, e questo punto si è dilatato nella versione di un vuoto, entro cui i corpi non hanno più peso né forma. Documento di quel periodo sarà appunto Quaderno di prigione. Intanto scrive poesie e dipinge, su fogli di fortuna, utilizzando come inchiostro il blu di metilene. Disegni che verranno sequestrati, insieme a quelli del secondo periodo carcerario del maggio ’35 e ritrovati nel 1980 presso l’Archivio centrale dello Stato, in un fascicolo intestato all’artista della serie “Fascicoli personali di detenuti sovversivi” del Ministero di grazia e Giustizia, ed esposti al pubblico nel 1983.
Il 9 maggio verrà rilasciato in seguito anche all’appello di Léger, Chagall, Derain e di altri artisti pubblicato su “La Libertà”, con l’ammonizione per due anni. Riprende l’attività clandestina, e viene nuovamente arrestato il 15 maggio nel suo studio di piazza Vittorio a Torino, mentre stava terminando di dipingere la copertina di America primo amore dell’amico Mario Soldati. Anche questa volta grande freddezza d’animo, come ricorda l’amico che era con lui: riesce a raggiungere il bagno e a mandar giù nello sciacquone documenti che avrebbero compromesso gravemente la sua posizione e quella di altri compagni. E con la stessa calma, chiese al questurino di poter terminare il dipinto che era sul cavalletto.
Trasferito a Regina Coeli, il 15 luglio gli viene ufficialmente comunicata dalla Prefettura di Roma la condanna a tre anni di confino: destinazione Grassano, poi Aliano, in Lucania. Nel suo quaderno verde annota: “Tutto è qui ristretto in un punto: sono rotte le leggi e l’idea stessa del tempo […]. A qualunque cosa mi volga, mi si palesa senza corpo; le cose stanno là, una vicina all’altra, in una pallida contemporaneità”. Io e Mondo non comunicano più: “l’assenza” della pittura astratta può diventare realtà, il sonno della ragione generare mostri (come dirà poi in Paura della pittura, 1942).
La fuoriuscita da questa situazione di impasse sarà la scoperta della Lucania. Terra desolata, abitata da una popolazione abissalmente lontana da quella che si usa chiamare civiltà. Levi imparerà presto a conoscerla (anche come medico elaborando, tra l’altro, assieme alla sorella Luisa, un piano di bonifica e di profilassi antimalarica per la zona di Aliano) e a scoprire l’umanità che si nasconde dietro l’impenetrabilità di un costume segnato da secoli di diffidenza, di esclusione e di miseria. In breve, il suo soggiorno forzato diventa nella vicenda interiore di Levi, intellettuale e artista, la scoperta dell’altra faccia della luna e, dunque, ulteriore conferma del “tramonto dell’Occidente” e riscoperta dei valori originari cui il pensiero psicanalitico e la letteratura della crisi avevano dato evidenza e strumenti di interpretazione. Una visione e scoperta del “profondo”, che si combinano nel suo pensiero con il progetto politico dell’“autonomia” delle classi sociali dal basso, sulla spinta di un’energia propulsiva liberatoria, da lui elaborato nei suoi scritti di qualche anno prima sui “Quaderni di Giustizia e Libertà”.
Da questa convergenza di idee e di suggestioni nascerà il Cristo si è fermato a Eboli, scritto di getto più tardi e dotato tra l’altro di una forte valenza mitica e visionaria, portatrice di una nuova storia: in breve, un grande best seller del dopoguerra per tutto il mondo. Durante il periodo di confino riceverà la visita di quella Paola Olivetti che negli anni precedenti, intorno al ’30, aveva frequentato soprattutto negli incontri estivi di Forte dei Marmi, dove si riuniva l’eletta schiera della Torino e della Firenze raffinata e intellettuale. Levi la dipingerà sullo sfondo del paesaggio lucano, si invieranno lettere intense, la loro diventerà la passione centrale della vita. Avranno insieme una figlia, Anna Olivetti, e vivranno insieme tra Parigi, Torino e Firenze dove il loro amore avrà termine.
Con la proclamazione dell’Impero nel maggio del 1936 Levi viene prosciolto e porta con sé, oltre a un quaderno fitto di appunti, vere e proprie “indagini sul campo”: poesie, disegni e un gran numero di ritratti e di paesaggi lucani.
Riprende intanto la sua attività clandestina che si riaccende più intensa dopo l’assassinio dei fratelli Rosselli in Francia (10 giugno 1937): a novembre licenzia un soggetto e una scenografia per il film Pietro Micca, riprende a collaborare a “Casabella” e ai “Quaderni di Giustizia e Libertà”. Con l’inasprirsi della congiuntura politica internazionale e, soprattutto, dopo le recenti disposizioni antiebraiche, Carlo Levi decide di rifugiarsi in Francia: nel ’38 è a Nizza e a Cannes. I suoi amici in esilio sono Franco Venturi, Aldo Garosci, Paolo Vittorelli. Lo segue Paola con la figlioletta Anna.
Dopo la liberazione di Firenze (11 agosto ’44) entra a far parte del Comitato di Liberazione nazionale toscano ed è fondatore e condirettore della “Nazione del Popolo”, organo del Cnl, con cui collaborerà con oltre 25 articoli non firmati dal 2 settembre ’44 al 15 agosto ’45. Assolve inoltre numerosi impegni pubblici, in qualità di presidente della Commissione per la riparazione degli edifici danneggiati dai bombardamenti del centro storico di Firenze  e per la ricostruzione della provincia di Firenze.
Nel giugno dello stesso anno viene chiamato a Roma a dirigere “L’Italia Libera”, organo nazionale del Partito d’Azione (stende 36 editoriali dal 12 ottobre del ’45 al 6 febbraio del ’46); è candidato per la Costituente per la lista di Alleanza repubblicana con i nomi migliori del meridionalismo (Dorso, Fiore, Cifarelli, Rossi-Doria) per il collegio Bari-Foggia e per quello Potenza-Matera. A Tricarico conoscerà Rocco Scotellaro che gli si farà incontro, a schernirlo della vandea dei signorotti del luogo che non gli perdonano di aver parlato di loro nel Cristo con l’ironia che sappiamo: raccoglierà 252 voti di preferenza e non sarà eletto.
Nel frattempo, il grande successo del Cristo, reso ancora più eclatante dalle tre edizioni in pochi mesi e dalla sua risonanza mondiale che si propaga a macchia d’olio: in testa nel ’46 gli Stati Uniti, con la pubblicazione dell’opera, seguita a ruota in pochi anni da tutte le altre in ogni parte del mondo. Grande attenzione, fin dalla prima uscita, anche su “Le Monde” in Francia, e anche negli ambienti della gauche, che con gli amici Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir  daranno spazio a prime anticipazioni del libro su “Les temps modernes”. Nello stesso anno esce da Einaudi Paura della libertà.
L’itinerario della sua ricerca di scrittore e di artista (ha sempre rifiutato il titolo di “intellettuale” come attributo astratto e separante dell’unità della persona nelle sue complesse valenze) è caratterizzato da forte impegno civile e politico a confronto con la realtà del nostro tempo, di cui ci consegna una lettura fortemente marcata dal coinvolgimento soggettivo: ne deriva un genere di scrittura che ha del reportage e del memoriale, del saggio e del racconto, tra narrazione referenziale e prosa lirica, in un amalgama che resta miracolosamente armonioso. Ciò determina la flessibilità dei suoi scritti, dai modi ora più epici (come ne Le parole sono pietre e Il futuro ha un cuore antico), ora ripiegati in un andamento più lirico ed elegiaco (Tutto il miele è finito e Un volto che ci somiglia).
Contestualmente Levi vive, tra la metà degli anni Trenta fino alla fine degli anni Cinquanta – il 1960 è l’anno che possiamo ritenere uno spartiacque – una fase pittorica di intenso dinamismo creativo che si carica di una particolare tensione espressiva. Permane la fluidità espressionistica degli anni Trenta, che si arricchisce di nuove idee e di grandi miti, rilevati dalla forte aggettante presenza di nudi, fusi - in un tutt’uno con un  paesaggio tellurico e originario nel fluttuante ondeggiamento della pennellata – in un unico movimento dinamico delle energie latenti della vita, come nei Nudi luminosi (1934), Le Grazie (1934), Nudo fetale (1935), Nudo dormiente (1935), Nudi (1938), in continuità con i paesaggi lucani e le sue argille lingueggianti, frementi di un tormentato vitalismo.
L’attività artistica proseguirà del resto senza particolari sorprese fino al termine degli anni ’60, nella continuità della sua ritrattistica in cui, agli indimenticabili ritratti di personaggi noti e meno noti si aggiungono le opere di un paesaggismo legato ai luoghi della memoria e la produzione di impegno politico-civile connessa con la cronaca degli eventi politici.
Sotto la spinta di questo rinnovato slancio civile e culturale, nel ’63 accetterà l’invito di Giorgio Amendola a candidarsi al Senato della Repubblica, nel collegio di Civitavecchia come indipendente nelle liste del PCI, aderendo al gruppo misto. Viene eletto ed entra a far parte delle commissioni riguardanti i beni artistici e archeologici.
Già nel ’74 lo troviamo nuovamente al suo lavoro d’artista con un grande dipinto di impegno civile per commemorare l’eccidio delle Fosse Ardeatine, un trittico affidato a Guttuso, Cagli e Levi. Nel settembre dello stesso anno si inaugura al Palazzo Te di Mantova una personale di circa 200 opere, dal ’22 al ’74.
Esegue alcuni disegni ispirati ai Fiori del male di Baudelaire per una serie di acqueforti di G. P. Berto. Fa ancora in tempo ad allestire una cartella di litografie sul Cristo, impresse da Esposito di Torino, dipinge il manifesto per il convegno della Filef (Federazione italiana lavoratori e famiglie) fondata insieme a Paolo Cinanni, di cui Levi era presidente fin dal ’67. Ai primi di dicembre torna in Basilicata per presentare la cartella del Cristo e viene accolto nei luoghi a lui familiari con un gran seguito di popolo e il caldo abbraccio di tanti amici.
Nei suoi ultimi giorni di attività stende la prefazione a Uno si distrae al bivio di Rocco Scotellaro. All’antivigilia di Natale 1974 viene ricoverato al Gemelli di Roma per una broncopolmonite: tornato a casa, muore in seguito a coma diabetico il 4 gennaio del 1975. Sulla sua bara Vitia, accorsa da Vienna, depone un gran fascio di rose. È seppellito nel cimitero di Aliano, in Basilicata, con funerali solenni e grande partecipazione di popolo.