La lastra di rame è lucida: ci si può specchiare dentro, non ci sono aloni od impronte di nessun genere; stampandola ora sul foglio resterebbe solo il contorno della lastra, un logogrifo bianco su bianco.  Il rame, sicuramente il primo metallo usato dall’umanità (sono stati ritrovati ornamenti  con questo metallo che risalgono ad almeno 9500 anni fa), piace particolarmente a Nella PIantà che al riguardo afferma: “Mi piace il rame, lo preferisco allo zinco. Il lavorarlo mi da delle sensazioni: i caldi riflessi di quando cerco la luce, il rumore del raschietto di quando abbasso le barbe col brunitoio. Questo non mi succede con gli altri materiali”.
La lastra viene attentamente osservata: se passa l’esame viene poggiata sul piano di lavoro dove inizia la la lavorazione: piano piano la superficie lucida viene butterata con il berceau passandolo e ripassandolo in ogni direzione al fine di ottenere una superficie omogeneamente scabra: stampando la lastra si ottiene un rettangolo nero uniforme.
Ora l’incisore sistema una lampada a luce radente, e utilizzando il brunitoio (nella sua forma consueta è uno strumento di acciaio duro a forma di piccola unghia allungata e liscia) pian piano trasforma il buio in luce: più la superficie scabra sarà levigata più sarà bianca nel momento della stampa, ottenendo in questo tutte le tonalità possibili di grigio.
La stampa del piatto segue la via normale che si applica ad una incisione in cavo: l’intera superficie viene accuratamente inchiostrata, quindi l’inchiostro viene asportato dalla superficie in modo da lasciarlo solo nei punti delle zone che risultano ancora più o meno ruvide; si appoggia quindi la lastra sul piano del torchio e viene coperto con un foglio di carta umido, protetto con alcuni panni di feltro e quindi sottoposto  ad un  processo di forte pressione: in questo modo l’inchiostro viene trasferito dalla lastra alla carta. Il processo viene ripetuto quanto necessario, ma poiché i segni sulla lastra non sono profondi, solamente un piccolo numero di copie, di buona qualità, possono essere stampate prima che la matrice inizi a degradarsi sotto la pressione del torchio, perdendo così progressivamente qualità. Forse solo ottanta o novanta stampe veramente buone possono essere ricavate da questo metodo incisorio.
Quanto sommariamente descritto è il metodo utilizzato per l’ottenimento delle stampe con il metodo della maniera nera, dove viene invertito il processo creativo consueto dell’incisore il quale normalmente procede nel suo lavoro aggiungendo segno a segno, tono a tono. In questo caso si tratta invece di togliere il nero di fondo, consentito dalla lastra granita, procedendo attraverso l’infinita gamma dei grigi fino al bianco.
Autoritratto, maniera neraLa maniera nera è un metodo non facile per la preparazione delle incisioni in cavo, nota più nei paesi del nord e dell’est Europa dove ha raggiunto livelli di eccezionale bravura, in Italia è praticata da poche decine di incisori: Nella Piantà è una di queste rare persone, ed ha raggiunto una altissima qualità di esecuzione tecnica; possiamo vedere il risultato di questa bravura nell’”Autoritratto” dove l’artista è visibile contemporaneamente mentre è all’opera sia da destra che da sinistra.
Ma un artista non è solo tecnica, è soprattutto cuore, sensibilità, cultura: sono queste le peculiari caratteristiche che si notano nelle incisioni che, basate solo sulla scala cromatica dal nero al bianco, risultano di un impasto materico ora levigato ed ora scabro, ora denso ed impetuoso, ora magro ed illanguidito senza per questo incidere sulla costante capacità dell’incisore di dare vigorosa forza plastica alle masse dei corpi.
Due sono i filoni tematici che interessano Nella Piantà che è una dispensatrice di emozioni sia per la convinzione con cui ha affrontato la rappresentazione del mondo animale, in particolare  i selvatici, anche se certo ama gli animali domestici  come dimostra il ritratto di “Jimmy”, sia per l’attenzione prestata al mondo dell’uomo, cui dedica riflessioni ed attenzioni non banali, ma basate sulla vita di tutti i giorni, e la quotidianità è la sfida più difficile da superare.
Gli animali di Nella Piantà sono a prima vista tranquilli e paciosi, almeno così appaiono nell’ammasso della “Savana”, ed in particolare ne “La famiglia” che fornisce una visione di solida calma con la vista del sedere dei pachidermi che lentamente si allontanano; ma già “Genio al lavoro” che è evidentemente profondamente addormentato, deve essere in tale stato dopo un abbondante pasto, che la natura è fatta di lacrime e sangue: l’artista nelle sue opere non ci mostra ne le prime ne il secondo, come se si vivessero ancora nel paradiso terrestre. In contrapposizione alle immagini i titoli delle opere danno l’idea dell’ansia (le lagrime) e della difficoltà nel  procacciarsi il cibo quotidiano (il sangue). Così abbiamo “L’agguato di Max” e “L’agguato di Ellen” di coccodrilli e leoni (forse meno pericolosi dell’”Agguato di Lu” di cui ci occuperemo più avanti), “L’attesa” della preda di un uccello rapace. Dichiarata l’intenzione di “Predatore al lavoro” e di “Ti vedo”, mentre anche i batraci de “Il pubblico” o “I pagliacci” o ancora “La cantante” sono evidentemente in attenta osservazione dell’intorno in cerca delle loro prede: gli insetti. Ma appunto la natura è fatta di lacrime e sangue, non solo predatori ma anche prede, ed ecco che “Orang” è attento, forse richiamato da “L’urlo”, mentre gli occhi di “Utan” ci dicono che è sicuramente spaventato.
Nonostante la violenza insita in questi lavori, ma ripeto questa e non altra è la natura, sono opere serene, fluide, sicuramente vitali, proprio per la convinzione con cui ha affrontato la rappresentazione del mondo animale, ma l’interesse di Nella Piantà guarda anche al mondo dell’uomo con la stessa bravura, realizzando opere sofferte, reali nella rappresentazione e nella sublimazione del lavoro inteso non solo come mansione, ma anche come missione. Ecco allora il volto del “Contadino”, cinese o vietnamita, con espressione antica che fa coppia con il “Monaco”, dello stesso anno, intento a bere da un vaso come una preghiera; e una vera “Preghiera” raffigurata in un’opera del 2006 richiama alla mente la figura femminile presente nella  “Preghiera della sera” di Jean-François Millet; e forse la donna raffigurata è la stessa presente in “Matilde”, omaggio al tempo che passa, così come un omaggio o forse un ricordo è l’incisione “Sguardi”: cinque lastre sullo stesso foglio che mostrano gli occhi della stessa donna a distanza di anni, o gli sguardi di cinque donne di diversa età.
Sicuramente amante della musica, ad essa sono riservate diverse lastre come “Bibop”, “Fortepiano”, “Swing” e forse l’ironica “La voce” che mostra una selva di microfoni senza nessuno: forse sta parlando un politico.
Come abbiamo visto le opere di Nella Piantà hanno un pizzico di ironia in più, e non mancano di impegno civile come per il foglio “Riflettiamo” dove un uomo armato e mascherato su un carroarmato imbraccia una mitragliatrice pesante: riflettiamo sulla guerra, sulle intolleranze, sui fanatismi che ancora stanno dilagando fra il cosidetto Homo Sapiens.  Uniti assieme le visione del “La voce” e di “Riflettiamo” richiamano alla memoria quanto affermato dall’autore de “Il signore delle mosche” (titolo originale Lord of the Flies, 1952) il Premio Nobel per la letteratura 1983 William Golding, che riassume in questa frase la sua filosofia: “L’uomo produce il male come le api producono il miele”.
L’incisione in cavo per sua natura a stampa nasce come segno nero su sfondo bianco, anche quando nasce dal nero assoluto come la maniera nera, ma anche con le altre tecniche incisorie che Nella Piantà dimostra di saper maneggiare sapientemente, come l’acquaforte, l’acquatinta, la ceramolle.
Il segno dell’incisione è il nero.
Alcune volte Nella Piantà non disdegna il contributo di piccoli tocchi cromatici per attirare maggiormente l’attenzione su qualche particolare, utilizzando anche la simbologia insita nel colore stesso.
Così “La caduta dell’angelo”, dove l’angelo è seduto su una panchina e si copre il volto con un’ala, ha l’ala stessa di un leggero colore viola, e il viola è il colore della penitenza, simboleggia il dolore, il tormento e la tristezza. Nella Piantà precisa che il viola è anche il colore della superbia e che questa lastra, come la seguente, fa parte di un ciclo al momento ancora incompleto, dedicato ai sette vizi capitali: materia difficile da trattare ma con possibilità di amplissima documentazione. “La Caduta dell’angelo” rappresenta quindi la superbia, Lucifero che viene precipitato negli abissi, e che è consapevole della sua situazione: per questo lascia la lettera che è pubblicata a pagina 42, a fianco della illustrazione.
L’agguato di Lu” rappresenta la lussuria: il rosso è il colore della passione, dell’amore ma anche del sangue e dell’aggressività. Quello di Lu è un agguato non dissimile da quello già visto per il regno animale: l’esca è rappresentata da un paio di gambe femminili che indossano delle scarpette rosse, e non sono le scarpette rosse di Dorothy del Mago di Oz. Nel foglio non si vede la preda, ma la sua fine è chiara, tanto che la posizione delle gambe richiama le zampe della Mantide Religiosa.
In conclusione, nelle opere di Nella Piantà si ha un misto di serenità e tragicità, entrambi sono aspetti del nostro mondo ed in particolare della condizione umana che in queste opere viene indagata attraverso un originale realismo dell’immagine, che viene colta e inserita in una altrettanto personale struttura verista e animalista.
Nell’arte di Nella Piantà non pare esserci un mondo di visioni di natura cerebrale, bensì un mondo essenzialmente emotivo.