Sono qui raccolti alcuni fogli realizzati da Gian Maria Lepscky in vari periodi, e fortunosamente recuperati frequentando mercatini, quasi emulo di analoghi ritrovamenti che hanno riguardato personaggi come Van Gogh, Tolouse-Lautrec ed altri simili. Non sconcerti l’ardito parallelo, perché se è pur vero che gli autori nominati sono noti a tutti, mentre il nostro è purtroppo stato lasciato in un limbo per troppi lunghi anni, è altrettanto vero che il corpus che il Lepscky ha lasciato, come ampiamente dimostrato dalle due recenti mostre tenute nel 2011 al Complesso Monumentale San Paolo di Monselice e nel 2012 nella chiesa di San Giovanni presso il Monastero di Santa Maria in Valle di Cividale del Friuli (questa mostra ha registrato nei quattro mesi di apertura oltre 13.000 presenze) e dai relativi cataloghi, come varietà di tecniche usate, di contenuti tematici, di scelte cromatiche non ha nulla da invidiare rispetto ad altri, più noti, artisti.
Non a caso uno dei problemi di fondo nel campo dell’arte, e non solo dell’arte, è che il grosso pubblico, ma non solo lui anche molti cosiddetti “esperti”, considerano validi solo personaggi ampiamente noti e non sono in grado di riconoscere il valore in opere che non siano già state acclarate.
Eppure Gian Maria Lepscky in vita ha goduto di ampi riconoscimenti, come dimostrato dalla rassegna stampa, ancora non del tutto esaustiva, contenuta nei due cataloghi citati.
È vero comunque che l’opera di Gian Maria Lepscky si è sviluppata su binari abbastanza tradizionali (si veda il bel Studio per testa di vecchio, anche se molto rovinato) almeno fino alla fine del secondo conflitto mondiale, del resto per uno studente dell’Accademia di Belle Arti di Venezia, anche se in cerca di nuove strade come è giusto che sia per i giovani, e successivamente anche docente nella stessa prestigiosa sede ed in altre scuole d’arte, difficile doveva essere camminare su sentieri nuovi ed impervi.
Ne sia prova l’olio Natura morta, molto rovinato per cattiva conservazione, dove la pur pregevole fattura non viene del tutto riconosciuta dallo stesso Lepscky, e infatti si nasconde firmando “FERRETTIS”, pseudonimo utilizzato per le opere destinate ad una vendita veloce quanto a volte necessaria, come capita spesso agli artisti per sbarcare il lunario.
Nel secondo dopoguerra, per motivi che non sono ancora stati sufficientemente studiati, si nota però una cesura nell’opera lepsckyana: i temi ed i soggetti che aveva curato non gli sono più sufficienti, e volge il suo interesse verso soggetti insoliti, a dimostrazione di un interesse culturale, di una curiosità intellettuale nuova, quasi una seconda giovinezza artistica e fisica.
Non sappiamo quando inizia questo nuovo, ultimo periodo, anche perché la maggior parte di queste opere non sono datate, ma è certo che tecnica e soggetti subiscono un profondo mutamento a partire dalla fine degli anni ‘40 del secolo scorso, come evidenziato dalle opere “recuperate” presenti in questa mostra. Si tratta prevalentemente di opere su carta, tempera e olio per lo più e qualche acquarello, matite colorate e qualche studio a matita; alcuni personaggi, molti friulani, e vari soggetti religiosi, prevalentemente ma non solo studi e bozzetti per quadri e affreschi realizzati per varie chiese oltre che per l’Ossario Militare di Schio.
Queste opere sono per la maggior parte propedeutiche ad una realizzazione su tela, sono piene di vita come per La serenata e la Festa in campo, ma anche venate di un sottile erotismo come nel Nudino di spalle e la Maschera e Colombina dove questa si esibisce al lume di candela mentre si spoglia, o più smaccatamente esibito come nello Studio di nudo.
Molte sono ironiche, la scena di Signore di nasce con la cameriera che serve e il cane che guarda richiama Totò, Gli sposi con i testimoni mostrano i consiglieri mentre lo Sposo inconsolabile non pare così inconsolabile.
La damina è romantica, mentre gli Indios introducono un che di esotico, accentuato dalla presenza della donna bianca bionda.
Gian Maria Lepscky è pittore realista, ma non è senza scelte come il vero realismo, è saturo di effetti magici pur mantenendosi collegato alla realtà.
C’è come un tentativo di allontanarsi da quanto di classico, accademico aveva fino ad allora fatto. Il rigettare quanto era stato fino a poco prima condiviso con tutta una generazione di artisti che avevano considerato la realtà e l’oggettività “come un semplice e succinto punto di partenza”.
Esiste nell’ultimo Lepscky un rifiuto del naturalismo e dello stesso impressionismo, rifiuto opposto in nome di una trasformazione soggettiva della realtà effettuata per mezzo di intime corrispondenze, in nome cioè di una visione delle cose filtrata attraverso gli occhi dello spirito.
La fantasia ed il sogno non furono mai, per Gian Maria Lepscky, portatrici di incubi terrificanti, o lontane dalle realtà della vita, ma ad essa strettamente legate. Fantasia e sogno sono stati occasioni per ampliare la visione del mondo, per scrutare più profondamente all’interno di se stesso e probabilmente degli altri, per cercare una risposta ai molti perché della vita.